Consiglio non richiesto a Meloni: per uscire dalla crisi energetica ci vuole una politica dell'offerta
Ogni cambio di governo impone un mix di continuità e discontinuità con l'esecutivo precedente. In che modo Giorgia Meloni cambierà la politica energetica italiana? E' bene agire con pragmatismo, dimenticando la retorica degli ultimi mesi. Le prime indicazioni le avremo oggi, durante il Consiglio straordinario dei ministri dell'Energia in corso a Bruxelles.
Sono essenzialmente tre i punti sul tavolo. Il primo riguarda il posizionamento europeo, tema su cui è necessaria la massima discontinuità. Mario Draghi aveva puntato tutto sulla proposta di un price cap generalizzato al gas. Questa richiesta, inizialmente isolata, ha gradualmente conquistato consenso, coagulando una coalizione di quindici paesi d'accordo (almeno in principio) con la necessità di imporre una forma di controllo dei prezzi. Finora si sono opposti con forza la Germania e l'Olanda, e gli stessi servizi della Commissione hanno manifestato profondo scetticismo. Il punto d'arrivo di questo braccio di ferro è il "corridoio dinamico" abbozzato dalla Commissione e appoggiato dal Consiglio: un meccanismo piuttosto confuso e complicato, e subordinato a condizioni assai vincolanti. Prima di premere l'acceleratore, Meloni farebbe bene a pensarci due volte: in un contesto di scarsità di offerta, pretendere di imporre ai nostri fornitori uno "sconto" arbitrario rispetto ai prezzi di mercato potrebbe finire per aggravare, anziché alleviare, il problema.
In secondo luogo occorre definire una linea in relazione alle enormi spese finora sostenute per contenere - con parziale successo - gli incrementi dei prezzi dell'energia. Nello scorso anno e mezzo abbiamo già consumato 60 miliardi di euro, pari a circa 3,3 punti percentuali di Pil. La mera proroga delle misure in vigore fino alla fine dell'anno si stima costerà circa 10 miliardi di euro e forse è inevitabile. Ma, in vista del 2023, è necessario chiedersi se sia sostenibile proseguire su questa strada o se non sia meglio focalizzare gli aiuti, concentrandoli sulle famiglie a basso reddito e sulle imprese energivore ed esposte alla concorrenza internazionale. Oltre tutto, una maggiore moderazione sul price cap e una più accorta politica di bilancio darebbero al governo più forza nel chiedere meccanismi di perequazione a livello europeo, sul modello del Sure adottato in epoca pandemica, per evitare forme di concorrenza sleale tra i governi in punto di aiuti di Stato.
Dove, invece, è necessario mantenere la barra dritta è sulla politica dell'offerta (pur sapendo che non saremo mai "indipendenti" e che di per sé non c'è nulla di male nell'importare gas come qualsiasi altra cosa): dalla crisi in corso si esce solo aumentando la disponibilità di energia. Il precedente governo ha fatto molto su questo punto, ma paradossalmente lo ha messo sempre più in secondo piano rispetto alla battaglia europea. Occorre ristabilire le giuste priorità. Questo richiede potenziare le semplificazioni sulle fonti rinnovabili, rimuovere i vincoli alla produzione nazionale di gas (su cui abbiamo perso molti mesi) e realizzare le infrastrutture necessarie, a partire dai rigassificatori di Piombino e Ravenna. E' questa la chiave di volta di una strategia razionale ed è su questo che si giocherà non solo la soluzione strutturale del problema, ma anche la capacità del nostro paese di tenere il passo dei partner europei, che si stanno muovendo più rapidamente.
Oggi gran parte della capacità dell'economia di minimizzare i rischi di una recessione si giocano sul terreno dell'energia. Non si può pensare di cavarsela nascondendo la testa sotto la sabbia, cioè sopprimendo i segnali di prezzo o per via regolatoria, o per via fiscale.
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