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Frontiere: trasparenza addio

      
     Foto via Twitter/KennethRoth

La ministra Lamorgese ha firmato lo scorso marzo un decreto che dichiara “inaccessibili” gli atti relativi alla “gestione delle frontiere e dell’immigrazione” inclusi anche i documenti sulla cooperazione con Frontex.

 

1. Il Ministero dell’Interno italiano azzera la trasparenza sulle frontiere

“Il ministero dell’Interno vuole azzerare la trasparenza in tema di gestione delle frontiere e dell’immigrazione, inclusi gli atti che riguardano le forniture alla Libia o la collaborazione tra l’Italia e l’Agenzia Frontex. È quanto prevede un decreto del 16 marzo 2022 firmato, senza far troppo rumore, dalla ministra Luciana Lamorgese”. Lo scrive il direttore di Altreconomia Duccio Facchini.

Nelle categorie dei documenti ritenuti “inaccessibili per motivi attinenti alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionali” sono stati inclusi anche quelli “relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e alle intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia [...]”. Inoltre, nel decreto c’è una categoria “sensibile” che riguarda Frontex: si tratta di tutti quei “documenti relativi alla cooperazione con Frontex per la sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione Europea coincidenti con quelle italiane e che non siano già sottratti all’accesso dall’applicazione di classifiche di riservatezza Ue”. “Tradotto: qualsiasi atto che riguardi Frontex e il suo operato in Italia o con l’Italia potrà essere ritenuto “inaccessibile” e quindi negato”, spiega Facchini.

“Le categorie di documenti inaccessibili sono state così ampliate nel decreto da frustrare profondamente lo spirito del Freedom of Information Act (FOIA). Un limite interpretato poi in maniera assoluta dalla Pubblica amministrazione che invece non dovrebbe applicarsi per l’accesso civico” ha affermato l’avvocata Giulia Crescini di ASGI.


2. La denuncia dell’OMS: rifugiati e migranti ricevono un’assistenza sanitaria peggiore

Milioni di rifugiati e migranti in situazioni vulnerabili in tutto il mondo ricevono trattamenti sanitari peggiori rispetto alle popolazioni ospitanti. Lo ha affermato l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in un nuovo rapporto sul diritto all’assistenza sanitaria.

Secondo il rapporto, i migranti vulnerabili in condizione di vulnerabilità ricevono servizi sanitari di qualità inferiore, soprattutto dove le condizioni di vita e di lavoro sono inferiori agli standard. L'OMS ha anche effettuato una meta-analisi su oltre 17 milioni di partecipanti provenienti da 16 paesi. L'organizzazione ha riscontrato che, rispetto ai lavoratori non migranti, i lavoratori migranti avevano maggiori probabilità di subire un infortunio sul lavoro. 

“È imperativo fare di più sulla salute dei rifugiati e dei migranti, ma se vogliamo cambiare lo status quo, abbiamo bisogno di investimenti urgenti per migliorare la qualità, la pertinenza e la completezza dei dati sanitari su rifugiati e migranti”, ha affermato Zsuzsanna Jakab, vice direttrice generale dell'OMS. Jakab ha anche sottolineato la necessità di raccogliere dati più completi sulla salute della popolazione.


3. Il rapper Ghali dona a RescueMed una barca per soccorrere i migranti

“Mi sono comprato una barca”. Quando martedì sera il rapper Ghali Amdouni ha twittato questa frase molti hanno pensato all’acquisto di uno yacht o di una barca a vela. Invece il cantante, classe 1993, stava annunciando tra le righe la donazione all’Ong Mediterranea Saving Humans di un nuovo mezzo di soccorso”, riporta il giornalista Giansandro Merli su Il Manifesto.

"Sono diventato grande e da oggi 'Bayna' non è più solo il titolo di una mia canzone ma anche quello di una nuova barca di salvataggio [...]. Mi sembra assurdo dover ripetere che salvare vite debba avvenire prima di qualsiasi scelta politica. Questo per me non è un sacrificio ma un privilegio” ha spiegato Ghali.

4. Accordi internazionali segreti: aperta un’investigazione sull’accordo rimpatri UE-Gambia

Nel maggio 2018 l’Unione Europea (UE) ha sottoscritto un accordo con il Gambia - il Good Practices Procedure on identification and return - che non è mai stato reso pubblico col presupposto che non fosse un accordo formale. “Il 6 luglio 2022” riporta l’ASGI, “grazie al supporto della Strategic Litigation: International Human Rights Legal Clinic dell’Università di Torino, è stata segnalata la questione alla Mediatrice europea, Emily O’ Really, che ha ora deciso di aprire un’indagine e ha confermato la necessità di poter visionare l’accordo per valutare se si tratti o meno di un accordo internazionale, dunque soggetto all’obbligo di pubblicità”.

Secondo le analisi della Strategic Litigation: International Human Rights Legal Clinic, nonostante il suo appellativo e la procedura seguita per la sua conclusione, l’intesa deve essere invece considerata un trattato internazionale vincolante, in quanto crea diritti e obblighi per le sue parti, oltre a produrre chiari effetti giuridici sui cittadini gambiani presenti sul territorio Europeo. Le stesse informazioni disponibili sull’intesa non fanno infatti riferimento solo a buone prassi per i rimpatri forzati, ma anche a obblighi reciproci e impegni economici.

“Tutti i trattati internazionali devono essere pubblici e la definizione di trattato non dipende dall’etichetta attribuita dallo Stato, bensì dal suo contenuto e dalla sua idoneità a produrre obblighi su un piano internazionale” ha affermato Andrea Spagnolo dell’Università di Torino.


5. Il mito dei “trafficanti”: come avviene la criminalizzazione dei migranti

Yvonne Su, professoressa del dipartimento di Equity Studies dell’Università del Canada e Corey Robinson, professore in Relazioni Internazionali presso l’Università di Durham, su The Conversation, hanno sviscerato il modo in cui i governi tendono a criminalizzare le persone migranti abusando del termine “trafficante”, dando quindi spazio anche a generalizzazioni.

“In tutto il mondo, il calo di reinsediamento dei rifugiati e l'assenza di vie legali ha costretto i rifugiati a utilizzare i trafficanti per attraversare le frontiere per accedere alla protezione dei rifugiati. In risposta a queste tendenze, i paesi ad alto reddito hanno introdotto misure di deterrenza draconiane che impediscono alle persone di raggiungere il loro territorio per chiedere asilo”, hanno riportato i due esperti. Sebbene ai firmatari della Convenzione sui rifugiati del 1951 sia vietato punire i richiedenti asilo per aver utilizzato i trafficanti per entrare in un paese di rifugio "illegalmente", i richiedenti che si avvalgono dei servizi di intermediari sono spesso definiti "rifugiati fasulli". Coloro che aiutano l'ingresso dei richiedenti asilo per motivi umanitari sono anche criminalizzati e demonizzati dai governi come "contrabbandieri".

“Inquadrando la repressione globale del traffico di migranti come una battaglia tra il bene e il male, le nazioni ricche nascondono il ruolo svolto dalle loro politiche nella creazione del mercato globale del contrabbando in primo luogo”.


6. Ancora diritti negati per i lavoratori stranieri: la scomparsa di Daouda Diane

Un lavoratore di 36 anni, Daouda Diane, nato in Costa d’Avorio, è scomparso dal due luglio ad Acate, in provincia di Ragusa. Stava lavorando in uno dei cantieri della SGV Calcestruzzi, che si occupa di produzione, trasporto e realizzazione di opere in calcestruzzo.

“Il 2 luglio [...] aveva inviato due video tramite WhatsApp al fratello, in Costa d’Avorio: era in una betoniera e aveva tra le mani un martello pneumatico. Non aveva tuta, guanti e caschetto di protezione ma solo, come si vede nel video, una mascherina chirurgica e le cuffie per proteggere l’udito dal rumore del martello pneumatico. [...] Dal pomeriggio del 2 luglio nessuno ha più avuto sue notizie: anche il telefono cellulare è scomparso ed è spento da allora” riporta Il Post.

“Chiederemo di incontrare il prefetto per chiedere che prosegua l’impegno nella ricerca di Diane. Vivo o morto vogliamo che venga ritrovato, che si sappia che fine ha fatto. Ma chiediamo anche maggiori controlli nelle aziende della zona, verifiche sulle condizioni in cui sono costretti a vivere i lavoratori migranti” ha affermato il sindacato USB.



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