Nella settimana in cui la corte di Cassazione ha deciso che il decreto Sicurezza non si applica retroattivamente alle domande di protezione umanitaria, la Procura di Agrigento ha iscritto l’ex ministro Salvini - e principale fautore del dl - nella lista degli indagati per il caso Open Arms: sequestro di persona e omissione di atti di ufficio le accuse ipotizzate. Infine un altro colpo per la propaganda del senatore leghista sembra giungere dalla ricerca, il legame tra ong e partenze non esiste.
1. La cassazione sul Dl Salvini: non può essere retrattivo
Il decreto Sicurezza non si applica retroattivamente alle domande di protezione umanitaria, tale permesso però non può essere concesso al richiedente per il solo fatto che questi sia inserito economicamente e socialmente nella società italiana.
Sono questi i due principi fissati dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione lo scorso 13 novembre.
I giudici si sono espressi sul decreto legge 113/2018 - fortemente voluto dall’ex ministro dell’interno Matteo Salvini - che introduceva norme più rigide in tema di immigrazione e sicurezza, dopo che proprio il Viminale aveva ricorso in Cassazione contro tre casi di concessione di permessi di soggiorno per motivi umanitari.
La sentenza delle Sezioni Unite stabilisce però che il diritto alla protezione “sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile” e che quindi il Dl Salvini “non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione“, quella cioè precedente al decreto Sicurezza.
La Cassazione stabilisce altresì che il solo fatto che un migrante studi in Italia non basta per dargli la protezione umanitaria: occorre “una valutazione comparativa con riferimento al Paese d’origine, in raffronto all’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza”.
2. A proposito di muri: un viaggio tra Ceuta e Melilla e la frontiera africana
Due barriere, parallele, in mezzo quanto basta per far sistemare posti di vigilanza e far passare dei vigilanti. Poi ancora cavi, sensori, illuminazione ad alta intensità e un sistema di videocamere di vigilanza a circuito chiuso. Siamo a Melilla che insieme a Ceuta è una delle due enclavi spagnole in Africa. Quella che Valentina Furlanetto ci racconta sul Sole 24 ore è una delle barriere costruite anche con il contributo dell’Unione europea (la stessa che celebra la caduta del Muro di Berlino).
Qualche tempo fa Lorenzo Bagnoli ci aveva raccontato come la militarizzazione della frontiera con il Marocco abbia reso il passaggio via terra sempre più difficoltoso, vedendo crescere esponenzialmente il numero delle partenze via mare, delle morti di chi tenta di attraversare e dei furti e violenze ai danni dei migranti.
3. Sulla Libia il ruolo dell’Italia è ambiguo
Addestramento, forniture di mezzi militari, collaborazioni. Il rapporto tra l’Italia e la Libia, per quanto ambiguo, tradisce un obiettivo piuttosto chiaro: consentire al paese nord africano di gestire autonomamente la sua zona Sar.
Come scrive Lorenzo Bagnoli su Internazionale assegnare alla Libia una zona Sar è importante per due motivi.
“Il primo è di ordine pratico e si legge spesso nei documenti ufficiali italiani: la guardia costiera di Roma afferma di essere coinvolta in operazioni di salvataggio in un’area pari al 51 per cento del Mediterraneo, complice il poco impegno di Malta e le Sar mai riconosciute a Tunisia ed Egitto. Il secondo è più politico: assegnare una zona di competenza ai libici significa che la guardia costiera libica può essere ritenuta responsabile dei soccorsi nell’area e si può legittimare in questo modo il ritiro dei mezzi di soccorso europei. Inoltre, in questo modo sono i libici a riportare i migranti in Libia, un paese considerato non sicuro. Se lo facesse qualsiasi altra nave straniera, si tratterebbe di un respingimento in violazione di una serie di norme internazionali a partire dalla Convenzione di Ginevra del 1951”.
Proprio a questo proposito, l’11 novembre scorso, Amnesty International e Human Rights Watch hanno presentato un intervento ad adiuvandum alla Corte europea dei diritti umani
nella causa S.S. e altri contro Italia (n. 21660/18). I richiedenti chiedono giustizia davanti al tribunale, sostenendo che l'Italia abbia violato gli obblighi derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo cooperando con la Libia per consentire alla guardia costiera di intercettare le persone in mare e riportarle nel paese dove sono stati esposti a torture e altri abusi.
4. Il Pull factor delle ong non esiste
La presenza di Ong in mare spinge i migranti a partire? La risposta è no!
Sebbene più pubblicazioni abbiano affrontato questo tema (noi lo abbiamo fatto qui), è stato pubblicato in questi giorni uno studio sistematico basato su dati che vanno dal 2014 a ottobre 2019, che si spera possa mettere la parola fine a uno degli argomenti alla base della politica dei porti chiusi.
Lo studio dei ricercatori Matteo Villa e Eugenio Cusumano pubblicato dall’European University Institute, intitolato “Sea Rescue NGOs: a Pull Factor of Irregular Migration”, prende in esame cinque anni di sbarchi in Italia (da ottobre 2014 a ottobre 2019) è dimostra che non vi è alcuna relazione tra la presenza nel Mediterraneo delle navi umanitarie e il numero delle partenze dalle coste libiche.
Tra i tanti dati a sostegno della tesi, due risultano più significativi: “nel 2015, l'anno in cui le Ong dispiegano la flotta in mare aumentando i loro soccorsi dallo 0,8 al 13 per cento, il numero complessivo delle partenze risulta in calo rispetto all'anno precedente. E ancora, nella seconda metà del 2017, nonostante le tante navi umanitarie presenti, il numero degli sbarchi crolla”.
5. Caso Open Arms: Salvini indagato ad Agrigento
Sequestro di persona e omissione di atti di ufficio: sono queste le accuse dei pm di Agrigento nei confronti dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. Le accuse si riferiscono a quanto accaduto nei primi venti giorni dell’agosto scorso, quando i migranti a bordo della nave Open Arms furono trattenuti - grazie alle disposizioni dell’allora ministro - a mezzo miglio da Lampedusa e costretti in “condizioni estreme, tanto da arrivare a gettarsi in mare nel tentativo di raggiungere la terraferma".
Allora furono i pm a ordinare lo sbarco d'urgenza, dopo aver accertato con un’ispezione le condizioni sulla nave. Il fascicolo con le accuse a Salvini è già stato trasmesso alla procura di Palermo. Come nel caso Diciotti le ipotesi di reato dovranno essere sottoposte al tribunale dei ministri, ed entro 15 giorni l'ufficio giudiziario guidato da Francesco Lo Voi dovrà decidere se confermare le ipotesi di reato, riformularle o chiedere l'archiviazione. Se le accuse fossero confermate toccherà poi al parlamento decidere se dare l’autorizzazione a procedere.
"Mi chiedo se questa volta, come è successo nel caso Diciotti, il Parlamento salverà Salvini negando l'autorizzazione a procedere", è proprio il commento di Oscar Camps fondatore di Open Arms.
6. La Germania chiede più controlli alle frontiere
Horst Seehofer, ministro degli Interni tedesco, torna a parlare di immigrazione auspicando maggiori controlli contro quella “irregolare”.
Per il ministro conservatore l’immigrazione clandestina deve essere impedita migliorando la protezione delle frontiere esterne dell'UE e rafforzando l'agenzia dell'UE per la protezione delle frontiere e della guardia costiera, Frontex.
Seehofer ha inoltre auspicato la creazione di una "robusta procedura" per poter effettuare un primo esame delle richieste di protezione anche fuori dall’Unione.
"Le domande palesemente inammissibili o infondate dovrebbero essere respinte immediatamente alla frontiera, negando l'ingresso nell'UE", le sue parole.
7. Behrouz Boochani è finalmente libero
La prigionia di Behrouz Boochani è finita, l'uomo è arrivato in Nuova Zelanda.
Finisce così l’odissea dello scrittore e dissidente curdo-iraniano costretto dalle autorità australiane per sei anni sull’isola prigione di Manus, in Papua Nuova Guinea, in quanto migrante irregolare.
Gli anni duri della detenzione sono raccontati dallo scrittore nel libro “No friends but the Mountains” che passato di nascosto al suo editore un sms alla volta, gli è valso il più prestigioso premio letterario australiano.
“Non tornerò mai più in quel posto - ha dichiarato Boochani al Guardian, poco dopo aver lasciato Manus - voglio solo essere libero dal sistema, dal processo. Voglio solo essere da qualche parte dove sono una persona, non solo un numero, non solo un'etichetta con su scritto rifugiato”.
Anche la partenza dall’isola merita di essere raccontata. Boochani conteso dai festival letterari è riuscito a lasciare l’isola con documenti forniti dall’Unhcr e raccogliendo l’invito del Word Christchurch festival.
8. La nave Ocean Vikings ha salvato 94 persone
“Verso le 4.30 siamo stati contattati da un gommone in pericolo. Abbiamo avvertito le autorità e Ocean Viking. Siamo felici che la Ocean Viking li abbia trovati e soccorsi stamattina!”, Alarm Phone racconta così il soccorso da parte della nave di Medici senza frontiere e Sos Mediterranée di un gommone in difficoltà al bordo del quale viaggiavano 94 persone, tra loro 11 donne (di cui 4 in gravidanza) e 38 minori, alcuni dei quali molto piccoli.
L'imbarcazione in difficoltà sarebbe partita la sera precedente dalla Libia, da dove sembrano essere riprese le partenze, in calo invece nelle ultime due settimane a causa del maltempo e del mare mosso.
9. Paesi Sicuri, una storia sbagliata?
Il decreto Salvini, convertito in legge lo scorso Novembre, prevedeva che in tema di asilo anche l’Italia stilasse un elenco di paesi considerati sicuri. Lo scorso 4 ottobre il Ministero degli Affari Esteri ha adottato un decreto nel quale vengono considerati paesi di origine sicuri: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina.
Paolo Riva ci aveva spiegato in questo approfondimento come una lista che difficilmente ha criteri oggettivi e che spesso rispecchia i rapporti diplomatici del paese, rischiava di tramutandosi in un ulteriore ostacolo sulla strada del riconoscimento della protezione.
Filippo Venturi su Questione Giustizia ci spiega perché sono una “Storia Sbagliata”.
10. In Slovenia i paramilitari sorvegliano i confini
Camuffati e armati di fucili ad aria compressa, i paramilitari sloveni si fanno riprendere nei boschi a due passi dalla Croazia, dove pattugliano la frontiera in cerca di migranti.
Il gruppo conta più di 50 persone ed è guidato da Andrej Sisko a capo anche di Gibanje Zedinjena Slovenija, un partito nazionalista marginale che finora non ha ottenuto seggi in parlamento. A Reuters che lo ha incontrato dichiara: "È dovere di tutti noi garantire la sicurezza nel nostro paese, se gli organismi statali che sono pagati per questo non possono o non vogliono garantire la sicurezza, possiamo contribuire ad assicurarla e questo è proprio quello che facciamo".
Scriveteci e diteci che ne pensate!
Il team di Open Migration