Caro energia: non serve uccidere il mercato ma farlo funzionare
Non è distruggendo il mercato o relegando a un ruolo di secondo piano gli operatori privati che ritroveremo la sicurezza energetica perduta.
In questi giorni si stanno rincorrendo varie proposte che puntano a sovvertire il funzionamento dei mercati europei dell'energia, nel nome di una pretesa sicurezza energetica. C'è chi dice: mettiamo in comune l'approvvigionamento di gas. C'è chi aggiunge: introduciamo un cap ai prezzi per evitare che esplodano. C'è infine chi conclude: e anche per quanto riguarda l'energia elettrica, separiamo le fonti rinnovabili da quelle non rinnovabili, creando di fatto due mercati distinti, con regole diverse, per un prodotto omogeneo.
Non è il caso, in questa sede, di entrare negli aspetti tecnici di queste proposte. E' essenziale però dire con forza che non solo esse non possono risolvere i problemi di breve o lungo termine che abbiamo davanti, ma che rischiano di aggravarli. I prezzi record del gas e dell'energia elettrica non dipendono da regole sbagliate: dipendono dalla scarsità dell'offerta rispetto alla domanda. E questa scarsità sarà tanto più pronunciata se l'Europa deciderà di estendere le sanzioni contro la Russia alle commodity energetiche. Non c'è meccanismo di pricing che possa far spuntare il gas dove non ce n'è. L'unico modo per farlo arrivare è proprio il sistema dei prezzi: e non a caso le metaniere americane e di altri paesi produttori hanno puntato la prua verso l'Europa forse perché il presidente Biden le ha incoraggiate, ma soprattutto perché hanno colto l'opportunità di prezzi record.
Allo stesso modo, nei mercati elettrici tutti dicono che servono investimenti per diversificare la capacità produttiva, attirando tecnologie vecchie e nuove, dal nucleare alle rinnovabili e, nell'emergenza, dal carbone all'olio combustibile. Ebbene, non è certo togliendo lo zucchero del profitto che renderemo il piatto più attraente. Quanto poi all'approvvigionamento comune, è appena il caso di ricordare che l'analogia coi vaccini è del tutto fuoriluogo: nel caso dei vaccini gli Stati erano i monopsonisti e si rifornivano da un numero limitato di venditori (in Europa, quattro autorizzati). Il gas invece proviene da decine di paesi, viene comprato e venduto da centinaia di operatori che a loro volta lo rivendono a centinaia di milioni di clienti grandi e piccoli. La domanda dei vaccini dipendeva interamente dalle decisioni dei governi; la domanda di gas dipende dall'attività economica, dalle temperature, dai prezzi e da mille altre variabili. Pensare di centralizzare queste attività tanto complesse, che richiedono professionalità del tutto assenti dal settore pubblico, è una utopia pericolosa.
Insomma: ci sono molte cose che gli Stati possono fare per facilitare una soluzione, garantendo la certezza degli approvvigionamenti nel breve e nel lungo termine. La più importante, anziché inseguire improbabili rivoluzioni, è rimuovere gli ostacoli agli investimenti: dalla burocrazia che frena le rinnovabili ai blocchi all'estrazione di gas. Ci sono anche interventi di natura più emergenziale, di sostegno alle famiglie e alle imprese messe in ginocchio dall'inflazione energetica ad altre forme di incentivazione dell'efficienza energetica o del riempimento degli stoccaggi. Ma è bene evitare di ripensare le fondamenta di un sistema che funziona e ha funzionato per decenni, nel nome di una situazione tanto drammatica quanto eccezionale.
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