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La realtà dei migranti trattenuti in Australia

Foto via Twitter/Waca (Wistleblowers, Activists and Communities Alliance).

La vicenda di Djokovic fa emergere le disparità e le violazioni dei diritti nei confronti dei migranti in Australia; la lotta di Refugees in Libya e le violenze delle milizie libiche; la Polonia blocca gli aiuti umanitari.

 

1. Oltre Djokovic: la realtà dei migranti trattenuti in Australia

La vicenda del tennista Novak Djokovic - fermato dalla polizia di frontiera australiana, brevemente trattenuto presso il Park Hotel di Melbourne, una struttura in cui vengono trattenuti i migranti ritenuti irregolari, poiché privo di vaccinazione e in contrasto con le regole del Paese, ma a cui poi è stato concesso di mantenere il visto per una sentenza del tribunale - ha reso evidente a un ampio pubblico il trattamento cui sono sottoposti rifugiati e richiedenti asilo in Australia, ma anche le maggiori possibilità e le differenze di trattamento che si hanno quando si è una star di fama mondiale.

Mentre Djokovic è riuscito a ottenere l’accesso al sistema giudiziario per far valere i propri diritti, richiedenti asilo e rifugiati vengono sistematicamente respinti o detenuti in condizioni precarie (alcuni anche in centri off shore ospitati su isole remote dell’Oceano Pacifico). È quanto ha fatto notare Felipe Gonzàles Morales, rapporteur per i diritti dei migranti delle Nazioni Unite:

L’Australia infatti è uno dei Paesi che più di altri ha adottato politiche securitarie e violente nei confronti dei migranti ed è stata spesso citata dalle istituzioni internazionali per le violazioni nei confronti dei richiedenti asilo. Per capire le condizioni cui sono sottoposti i migranti, basta ascoltare la testimonianza di Mehdi Ali, un giovane iraniano trattenuto da quando aveva 15 anni - ne ha compiuti 24 poco fa - nello stesso hotel del campione serbo.

Rifugiati e richiedenti asilo vengono privati dei diritti umani basilari (dalla libertà personale all’accesso alle cure, all’assistenza psicologica) senza sapere quando e se verranno mai liberati da quella condizione.

 

2. La lotta di Refugees in Libya

In Libia le milizie hanno di nuovo fatto ricorso alla violenza per rastrellare centinaia di migranti (tra adulti, minori e donne incinte) e portarli nel centro di detenzione di Ain Zara

Qui, da cento giorni, le persone detenute protestano contro le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere: “Il rastrellamento delle milizie libiche su ordine delle autorità di Tripoli è scattato in piena notte, mentre quasi duemila migranti e profughi dormivano sulla via d’accesso a una delle sedi dell’alto commissariato Onu per i rifugiati” scrive il giornalista Nello Scavo.
 
In questo contesto di violazioni si inseriscono le preziose testimonianze raccolte da Refugees in Libya, un collettivo di migranti che da mesi documenta le violenze sistematiche delle milizie libiche nei loro confronti e la noncuranza di Unhcr Libya e delle istituzioni Ue che non rispondono alle denunce e alle richieste di evacuazione.


3. La Ong Medici Senza Frontiere bloccata dalla polizia di frontiera polacca

La situazione sulla frontiera bielorusso-polacca non fa altro che peggiorare e le organizzazioni umanitarie fanno fatica a portare gli aiuti necessari alle persone migranti.

È il caso della Ong Medici Senza Frontiere (MSF) che denuncia di essere stata bloccata dalle autorità polacche: “Da ottobre, MSF ha ripetutamente richiesto l'accesso all'area riservata e ai posti di guardia di frontiera in Polonia, ma senza successo”, afferma Frauke Ossig, coordinatrice delle emergenze di MSF per Polonia e Lituania. Da giugno 2021, migliaia di persone hanno tentato di raggiungere l'Ue attraversando la Bielorussia la Polonia, la Lituania e la Lettonia. In risposta, la Polonia ha costruito recinzioni di confine e ha dichiarato lo stato di emergenza. Quest'area è diventata sempre più controllata e con accesso limitato, anche per organizzazioni umanitarie, gruppi di volontari e media. Negli ultimi sei mesi, ci sono stati numerosi casi di guardie di frontiera polacche che hanno rimpatriato forzatamente migranti e rifugiati in Bielorussia, in violazione delle loro intenzioni di richiedere protezione internazionale e in violazione dei loro diritti.

“Alcuni volontari sono stati diffamati e intimiditi [...] in quello che si ritiene essere un tentativo di impedire loro di fornire supporto”, ha affermato Ossig, mentre la situazione continua  a deteriorarsi.

4. Frontex chiede alla Corte di Giustizia Europea di respingere un caso sui diritti umani e vuole essere risarcita da richiedenti asilo

Nel maggio 2021 l'organizzazione Front-LEX - che si occupa dei diritti umani dei migranti - ha avviato un procedimento giudiziario contro l'agenzia di frontiera dell'Ue Frontex presso la Corte di Giustizia Europea, chiedendo al tribunale di costringere Frontex a interrompere le sue attività nel Mar Egeo a causa delle "prove indiscusse e schiaccianti di gravi e persistenti violazioni dei diritti fondamentali" nell'area di attività dell'agenzia.

La domanda è stata presentata a nome di due persone - un bambino richiedente asilo e un adulto che ora è un rifugiato riconosciuto in Grecia - e sostengono che Frontex abbia contribuito alle violazioni dei diritti fondamentali subite durante il viaggio verso la Grecia. Nella domanda si invita il tribunale a dichiarare che Frontex non ha interrotto o sospeso le sue operazioni nell'Egeo, durante l’operazione congiunta Poseidon, come previsto dall'articolo 46 del regolamento Frontex. Frontex, tuttavia, sostiene che il ricorso al tribunale è inammissibile: in un atto depositato presso il tribunale e ottenuto dalla ong Statewatch, l'agenzia di frontiera evita il merito della domanda - e quindi non affronta le accuse di gravi violazioni del diritto dell'Ue - e chiede che le proprie spese legali siano coperte dalle due persone coinvolte.

Un caso di cui Front-LEX ha evidenziato le varie assurdità, a partire dal fatto che Frontex - altamente finanziata - pretenda di essere risarcita: 

 

5. La Danimarca rende nuovamente insicuri i rifugiati siriani

La Danimarca è diventata il primo Paese europeo a revocare i permessi di soggiorno ai rifugiati siriani, sostenendo che Damasco e le province circostanti non sono più abbastanza pericolose da giustificare l'offerta ai rifugiati del diritto di rimanere in Danimarca.

Le autorità danesi si affidano a un rapporto sul paese d'origine pubblicato nel febbraio 2019 per giustificare la decisione. Quel rapporto ha rilevato che la situazione della sicurezza in alcune parti della Siria dilaniata dalla guerra era "migliorata in modo significativo". Di conseguenza, lo status di circa 500 persone in Danimarca originarie di Damasco è stato rivalutato. Se i loro appelli falliscono, dovranno tornare a Damasco volontariamente o essere collocati in centri di rimpatrio a tempo indeterminato.

"Anche se la Danimarca non raccoglie attivamente i siriani e li riporta in Siria, questa idea di esercitare una pressione sufficiente su di loro è considerbile come un ritorno coercitivo che violerebbe anche gli obblighi legali della Danimarca", ha spiegato Sara Kayyali, ricercatrice siriana per Human Rights Watch (HRW). Il fatto che la Danimarca ritenga sicuro rimandare i siriani a vivere sotto un regime con il quale non ha rapporti diplomatici, potrebbe significare per i rifugiati a cui viene negato il permesso di soggiorno temporaneo o a cui viene rifiutato il rinnovo del permesso, restare  bloccati per anni nei centri di detenzione.

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