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Mediterraneo: dall’inizio dell’anno oltre mille morti tra i migranti 
Foto via Twitter/Sea Watch

Sono oltre 1000 le persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno nel tentativo di raggiungere l’Europa. Politiche securitarie, accordi con le milizie libiche, assenza di soccorso le cause di un processo che non possiamo più chiamare disgrazia.

1. Ennesimo naufragio davanti alle coste della Libia
Ennesimo naufragio al largo della Libia, 57 persone hanno perso la vita tra cui 20 donne e un numero imprecisato di bambini, 18 persone sono invece sopravvissute. 


La settimana precedente, come riporta l’Ong Sea Watch, altre 37 persone avevano perso la vita nella traversata nel Mediterraneo Centrale, mentre 900 persone sono state catturate dalla cosiddetta Guardia costiera libica e sono state riportate nei centri di detenzione. 

Con questi naufragi, sale a oltre 1000 il numero di persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno.

2. Ancora respingimenti illegali nell’Egeo 
Continuano i respingimenti illegali nel Mar Egeo nei confronti di donne e uomini migranti. Tra le testimonianze recenti vi è quella di una donna di 28 anni proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo che, insieme ad altre persone provenienti perlopiù dalla Siria, dal Camerun e dalla Somalia, è stata prima costretta a salire sulle navi della guardia costiera greca, poi a buttare i propri averi, tra cui il cellulare, in mare e infine è stata costretta a salire su un gommone per poi essere respinta verso la Turchia. 

La guardia costiera greca viene regolarmente denunciata per le continue violazioni dei diritti umani nei confronti delle persone che migrano.

Intanto, non si fermano le tragedie: una decina di migranti sono stati infatti dichiarati dispersi a seguito di un naufragio al largo di Creta. 

3. «Giustizia per Younes» protesta antirazzista a Voghera
Si è svolta il 23 luglio a Voghera  la manifestazione antirazzista in supporto della famiglia di Younes El Boussettaoui, uomo di origine marocchina ucciso dall’assessore alla sicurezza leghista Massimo Adriatici nel corso di una lite davanti un bar della città lombarda. Bahija El Boussettaoui, sorella della vittima, nel chiedere giustizia e che venga fatta luce sulla morte del fratello, ricorda come l’uomo soffrisse di salute mentale e avrebbe dovuto essere aiutato

Nel frattempo dalle indagini emergono ulteriori dettagli: la sindaca Paola Garlaschelli era già stata avvisata dalle forze dell’ordine sul fatto che l’assessore Adriatici, ex poliziotto e docente della scuola allievi di Polizia, girasse armato di pistola. L’Assessore attualmente è sottoposto agli arresti domiciliari, accusato di eccesso colposo di legittima difesa.

Per gli avvocati della vittima, invece, nell’omicidio c’è una sottotraccia razzista, dimostrata a loro avviso dalle e-mail di minaccia che hanno ricevuto in quanto difensori di Boussettaoui.

4.  Migranti e senzatetto una campagna per chiedere che non siano esclusi dal sistema sanitario
Il 23 luglio, gli attivisti e le attiviste di ActionAid si sono ritrovati in Piazza Montecitorio per denunciare l’impossibilità di accesso al sistema sanitario per migranti e senzatetto. La campagna Diritti in Giacenza denuncia l’esclusione sistematica dall’acquisizione della residenza a persone straniere che non riescono a  registrarsi all’anagrafe: l’art. 43 del codice civile stabilisce che “la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale” e la natura dell’alloggio non può essere motivo di ostacolo. Tuttavia, spiega ActionAid: “il legislatore negli anni ha escluso dall’anagrafe specifici gruppi sociali con finalità “punitive” - ad esempio i richiedenti asilo con i Decreti Sicurezza del primo Governo Conte - e prima ancora l’art. 5 del “Piano Casa” del 2014, nato per contrastare le occupazioni abusive, ha di fatto posto delle barriere insormontabili per migliaia di persone”. 

Le persone straniere che devono affrontare queste difficoltà, secondo la Fondazione ISMU, sono oltre 300mila.

5. Centinaia di migranti minori sono senza casa a Roma
Sono centinaia i minori stranieri non accompagnati in transito a Roma, esclusi dal sistema di accoglienza e quindi privati di un rifugio notturno ed esposti a molteplici rischi di abuso e sfruttamento. Si tratta, in larga maggioranza, di minori rifugiati dal Sudan e dal conflitto nella Regione del Tigray, in Etiopia, ragazzi e ragazze in fuga da violenze e in cerca di sicurezza e protezione.

Lo denuncia Intersos che con Valentina Murino, responsabile dei progetti di protezione dell’infanzia dichiara: “Ancora una volta siamo costretti a denunciare come l’assenza di strutture di accoglienza protetta dedicate esponga i minori in transito a Roma a condizioni inaccettabili e pericoli. Da anni osserviamo il protrarsi di una gestione emergenziale di un fenomeno che emergenza non è: una gestione che rende visibile il disagio delle condizioni di vita degradanti e degli sgomberi in nome del decoro, come quello avvenuto ancora una volta il 14 luglio nel piazzale Giovanni Spadolini, sul retro della Stazione Tiburtina. Ciò che rimane nascosto è la vulnerabilità di minori che portano quasi sempre con sé profondi traumi e ferite sia fisiche che psicologiche. A fronte di 41 sgomberi realizzati con dispiego di forze in questi anni alla Stazione Tiburtina, zero soluzioni per garantire accoglienza protetta, in una situazione resa ancora più difficile dalle restrizioni dovute al rispetto delle misure di contenimento dei contagi da Covid-19”.

6. Novità importanti sulla protezione speciale
Dopo mesi di incertezza, la Commissione Nazionale per il diritto di asilo ha finalmente  precisato quali siano i contenuti della protezione speciale e le modalità di accesso alla procedura. Una decisione importante - spiega A Buon Diritto - per uno strumento in grado di far emergere dall'invisibilità e mettere in sicurezza tutte quelle persone la cui vita è radicata da tempo in Italia, ma che dopo il primo decreto sicurezza avevano perso un'importante tutela.

7. Gli Stati di Bandiera contro i fermi amministrativi delle navi Ong


Tra attori della società civile ed esperti di diritto i fermi amministrativi delle navi delle Ong hanno sempre causato sospetti e da più voci era stato denunciato il carattere discrezionale, se non politico delle operazioni.

Le uniche dichiarazioni pubbliche ufficiali, però, erano state quelle delle autorità italiane, che hanno sempre giustificato tali misure. Almeno finora, quando cioè sono emersi documenti riservati e prese di posizione di tre Stati di bandiera coinvolti:  Spagna (Open Arms e Aita Mari), Norvegia (Ocean Viking e Geo Barents) e Germania (Sea-Watch 3 e 4, Alan Kurdi, Sea-Eye 4).

I tre Stati, spiega Giansandro Merli su Il Manifesto, criticano le detenzioni amministrative che Roma dispone da maggio 2020. A loro avviso le navi umanitarie restano sicure.


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