Le multinazionali fanno bene al Made in Italy Il caso dell'agroalimentare
La presenza delle multinazionali promuove la crescita e l'occupazione anche nelle imprese tradizionali. Lo conferma la vicenda di successo dell'agroalimentare italiano, che viene approfondito attraverso diversi casi-studio da Ornella Darova nel Briefing Paper "E se le multinazionali fossero i migliori promotori del made in Italy?" (PDF). Lo studio è stato presentato ieri a Roma nell'ambito del convegno "Innovazione sociale, territorio e sistemi di impresa" organizzato dalla rivista Formiche.
Lo studio anzitutto ripercorre la letteratura sul tema, evidenziando gli effetti positivi che possono essere associati agli investimenti delle multinazionali: il trasferimento di tecnologie e know-how, i processi di apprendimento e imitazione, la possibilità per le Pmi di inserirsi all'interno di filiere globali e il più facile accesso a capitali esteri. A conferma di ciò, Darova ricostruisce le vicende di numerose Pmi italiane dell'agroalimentare, che hanno conosciuto il successo o il rilancio proprio grazie alla collaborazione con multinazioanli quali McDonald's, Unilever, Cloetta, Coca Cola, Alibaba, Nestlé e Findus.
Scrive Darova: "il made in Italy negli anni ha trovato un respiro internazionale ed è approdato a nuovi mercati anche grazie al prezioso contributo delle multinazionali. Di fatto, le multinazionali possono giocare il ruolo di facilitatori per l'inserimento delle imprese italiane nelle catene di valore globali. La possibilità di creare ecosistemi imprenditoriali strategici, all'avanguardia e in crescita dipende dalla capacità degli attori esistenti sul territorio di aprirsi al mercato globale e di guardare al futuro immaginando percorsi di promozione delle eccellenze locali che non si isolino a contesti limitati ma sappiano affrontare prospettive internazionali".
Il Briefing Paper "E se le multinazionali fossero i migliori promotori del made in Italy?" di Ornella Darova è liberamente disponibile qui (PDF).
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