Dalla rotta Balcanica, al Mediterraneo centrale il nuovo anno non porta novità. Che si attenda nel gelo della Bosnia o nel mare in tempesta si continua a distogliere lo sguardo dal destino di migliaia di persone.
1. Bosnia: ancora emergenza per i migranti bloccati a Lipa
Migliaia di persone sopravvivono in condizioni disastrose e a temperature gelide nella Bosnia nord-occidentale, dopo essere state costrette a lasciare il campo profughi di Lipa, vicino a Bihac distrutto da un incendio ormai più di 10 giorni fa.
Da allora nessuna soluzione è stata trovata, anzi - come riportato da Tiziana Campisi e Gabriella Ceraso di Vatican News - “tutte le proposte alternative sono state boicottate dalla popolazione e dai sindaci di diverse località con manifestazioni e proteste: impossibile riaprire l'ex campo Bira (nella città di Bihac) o allestire l’ex caserma in località Bradina (non distante da Sarajevo). E così - ci spiega da Sarajevo Daniele Bombardi della Caritas italiana che ha lanciato l'allarme - ora, dopo aver passato giorni al gelo in strada o in autobus di fortuna, le persone saranno ricollocate nello stesso campo che l'esercito sta ricostruendo. "Una soluzione inadatta e grave perché mancano le condizioni minime per una sopravvivenza dignitosa". Il campo era ed è pericoloso e poi, spiega Bombardi, ancora per chissà quanto tempo sarà sprovvisto di elettricità, acqua potabile e riscaldamento, in una zona in cui le temperature scendono sotto zero.”
Intanto, scrive Il Cir su Facebook, è stato lanciato un appello al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Commissione e agli Stati membri perché diano subito una risposta fattiva alla drammatica situazione che centinaia di richiedenti asilo e rifugiati stanno vivendo nei paesi della Rotta Balcanica:
2. Le responsabilità italiane nei respingimenti al confine con la Slovenia
La responsabilità per le migliaia di persone al gelo in Bosnia andrebbero ricercate anche in Italia. “La polizia di frontiera di Trieste e Gorizia ha “riammesso” 1.240 migranti e richiedenti asilo tra gennaio e metà novembre (il 420% in più rispetto al 2019). Diversi di loro sono stati respinti a catena fino in Bosnia, dove la situazione è precipitata”, lo scrive Duccio Facchini direttore di Altreconomia che dedica l’ultimo numero proprio ai respingimenti alla frontiera orientale.
“Da metà maggio, con il pretesto del Covid-19 - riporta Mondo Solidale - le autorità italiane hanno intensificato le cosiddette riammissioni, in forza di precise direttive del governo contenute in una circolare (mai trasmessa alla stampa) a firma di Matteo Piantedosi, già capo di gabinetto del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese (e prima di Matteo Salvini), nominato nuovo prefetto di Roma nell’agosto di quest’anno”, nemmeno i richiedenti asilo sfuggono a questa prassi.
Intanto, su Repubblica Fabio Tonacci racconta la storia di Osman giovane pakistano di 22 anni arrivato a Trieste attraverso la rotta balcanica, che descrive come "un inferno": "Ho visto persone uccise a colpi di pistola, altre picchiate fino ad aver la testa rotta. Sono stato ingannato e mandato indietro dagli italiani".
3. La Open Arms arriva a Porto Empedocle
La Open Arms, con a bordo 265 migranti salvati in due diversi interventi di soccorso nel Mediterraneo, ha raggiunto il 4 gennaio Porto Empedocle, dove ha potuto finalmente far sbarcare tutti i soccorsi. “Sarà una notte difficile in coperta, il tempo è peggiorato, piove e fa freddo. Dopo il rifiuto di Malta, l’Italia assegna Porto Empedocle come porto di sbarco”, scriveva Oscar Camps, fondatore della Open Arms, nei giorni scorsi sui social.
I migranti – prima dello sbarco – sono stati sottoposti a tampone anti-Covid e poi trasportati nei centri di accoglienza della zona.
Destino diverso per altre 160 persone che,invece, come scrive Federico Soda sono state intercettate e riportate in Libia.
La stessa Libia da cui arriva questa drammatica vicenda raccontata da Giulia Tranchina:
4. Criminalizzazione delle Ong: cosa è successo nel Mediterraneo Centrale?
“Dal 2017 a oggi sono una ventina le navi impegnate in operazioni di salvataggio in mare coinvolte in procedimenti legali (che spesso neanche arrivano al processo). Quante vite avrebbero potuto salvare le navi delle Ong bloccate in porto?”. Se lo chiede Nicolò Arpinati su Dinamopress, un interessante articolo che ricostruisce i principali fermi e sequestri.
The Submarine ci porta invece a bordo della Nave Mare Jonio, ferma a Venezia per lavori di manutenzione in attesa della prossima missione: “salvare vite è un atto rivoluzionario”.
5. Covid e linguaggio social: come si è parlato dei migranti nel corso della pandemia?
“Fate una verifica e vedrete che in tutti gli ospedali, non c'è un extracomunitario di qualsiasi età positivo o ricoverato per Cov19!!!!!!!!! Come è possibile!?!?!? Solo gli italiani....allora...meditare gente”. Questo è solo uno dei tanti messaggi che a inizio pandemia hanno iniziato a invadere le chat di whattsapp, ma dall'inizio della pandemia sono state diverse le fake news sul legame tra coronavirus e popolazione straniera: dalla bufala sulla presunta immunità al pericolo contagio.
Come scrive Eleonora Camilli su Redattore Sociale, “In generale il 2020 è stato caratterizzato da una comunicazione altalenante e spesso schizofrenica sul tema migratorio. Le persone sbarcate nel nostro paese sono state considerate prima immuni poi untori, sempre comunque invasori o perlomeno ospiti non graditi”.
“Comunicazione spesso ambigua e difficoltà di veicolare informazioni essenziali - per il linguista Federico Faloppa - sul piano linguistico c’è ancora molto da fare”.
6. A Trento 13 rifugiati sono stati lasciati in strada senza tetto
“Il 29 dicembre 13 richiedenti asilo sono stati prelevati dalla polizia in piena notte, alle 4.30 del mattino, e fatti uscire sotto la fitta nevicata in corso, dalla residenza Fersina, struttura di accoglienza di Trento. Avendo un reddito frutto di lavori stagionali e precari appena più alto di quello che è considerato minimo vitale, queste persone hanno perso il diritto ad avere una sistemazione gratuita”. La vicenda viene raccontata dall’Assemblea antirazzista di Trento, mentre l’Adige ricostruisce l’intera vicenda.
7. Con Fada per conoscere i “Dreamers” europei
"Gli aiuti per la pandemia? Possiamo dimenticarli. Non ho nemmeno una tessera sanitaria, una carta d'identità: sono un fantasma". Luca Neves è uno tra milioni di europei senza documenti. Nati o cresciuti all'interno dello 'spazio di libertà, sicurezza e giustizia', sancito nel 2009 dal trattato di Lisbona dell'UE, ma ancora esclusi da molti di quei diritti che l'Unione dichiara di promuovere. Nato a Roma da genitori capoverdiani, Neves è irregolare da 13 anni, da quando cioè - allora diciannovenne - incappò in una macchina burocratica retrograda e inadeguata ad una società sempre più multietnica. Nel 2019, dopo aver rischiato di essere rimpatriato, decide di rendere pubblica la sua storia, per denunciare un'ingiustizia e rappresentare molti che vivono nell'ombra, per paura di controlli e razzismo. Il ritratto di Luca Neves è parte di una serie di reportages e di un podcast, pubblicati da The Guardian e coordinati da Charlotte Alfred e Lighthouse Reports sugli europei senza documenti. Come negli USA, dove i così detti 'dreamers' sono stati protetti da leggi e programmi di regolarizzazione, in parte smantellati durante la presidenza di Donald Trump, anche in Europa i sognatori hanno bisogno, con urgenza, di leggi e politiche giuste. La storia di Neves è stata raccontata da Giacomo Zandonini sul Guardian, ora il Collettivo Fada la ripropone. Noi vi consigliamo di seguirli.
8. Brexit: fuori dall’Ue fuori da Dublino
Dallo scorso primo gennaio, la Gran Bretagna non potrà più rimandare indietro i migranti provenienti dal continente europeo, non più seguendo i dettami del Regolamento di Dublino almeno. Il principio, secondo cui la responsabilità di un richiedente asilo ricade sul Paese di primo approdo, non sarà più valido oltre manica a causa della Brexit. “Faremo valere il rigore della legge britannica a protezione dei confini, aveva tuonato lo scorso mese di settembre il premier Boris Johnson, quando l’uscita dall’Unione europea veniva ancora vista da Londra come una chance per cambiare le regole di Dublino”, ricorda su il Manifesto Carlo Lania. A Londra, ora resta solo la possibilità di accordi bilaterali con gli Stati.
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