Le mani della politica sulla Borsa italiana
Sarà la politica a decidere il destino della Borsa italiana. London Stock Exchange Group, la società britannica che attualmente controlla Piazza Affari, ha avviato una negoziazione in esclusiva con la cordata composta da Euronext e Cassa depositi e prestiti. Ha pertanto accantonato per il momento le offerte di Deutsche Börse e della svizzera Six, nonostante - secondo le indiscrezioni - le offerte economiche di queste ultime fossero più convenienti. Non sappiamo se la decisione di Lseg sia mossa da genuine considerazioni che riguardano il merito dell'offerta, pure inferiore a quella presentata dalla svizzera Six. Purtroppo c'è il sospetto diffuso che sia l'esito di un intenso pressing da parte del Governo. Certo, la partecipazione di Cdp alla partita accredita questa tesi. E ancor più lo fanno le parole con cui l'amministratore delegato della Cassa, Fabrizio Palermo, ha commentato la notizia: "L'esclusiva che Lseg ha dato alla partnership tra Cdp ed Euronext è un passo importante per restituire all'Italia un ruolo centrale nelle strategie di un'infrastruttura strategica e garantire lo sviluppo del mercato borsistico italiano". Ecco: il punto politico sta tutto qui. Tutti e tre i contendenti sono operatori qualificati. Due di essi (Euronext e Deutsche Boerse) sono europei; il terzo (Six) proviene da un paese esterno all'Unione europea ma a essa (e all'Italia) legato da strettissime relazioni politiche e commerciali, la Svizzera. Chiunque sia il compratore, non c'è alcuna ragione di ritenere pregiudicati o anche solo minacciati gli interessi nazionali. Perché, allora, il Governo si comporta come se davanti a noi ci fossero soggetti potenzialmente ostili? Le cautele sarebbero perfettamente comprensibili se in lizza ci fossero imprese, magari controllate dallo Stato, e provenienti da paesi non democratici. Ma che senso ha questo fuoco di fila e questa retorica nazionalista, quando la scelta (che peraltro spetta all'attuale azionista di Borsa Italiana) riguarda comunque operatori che hanno tutte le carte in regola non solo per offrire garanzie all'esecutivo, ma anche per garantire lo sviluppo della Borsa? D'altronde, se il Governo ritiene che vi siano problemi potenzialmente sensibili di sicurezza nazionale, anziché giocare allo Stato imprenditore, ha tutti gli strumenti per intervenire: la disciplina col golden power, a maggior ragione dopo le ultime modifiche, ormai consente a Palazzo Chigi di mettere il becco quasi in qualunque operazione societaria. La domanda a cui il Governo non risponde, e dovrebbe farlo, è: perché agire dietro le quinte - col favore delle tenebre, verrebbe da dire, parafrasando Giuseppe Conte - anziché adottare gli atti formali che ritiene necessari?
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