Come Sansone, l'Italia ha la sua forza economica nei capelli: o, almeno, devono pensarlo i deputati che, col capogruppo leghista Riccardo Molinari, hanno proposto un disegno di legge per arginare la "liberalizzazione indiscriminata" di parrucchieri e barbieri. Solo rendendo più difficile il taglio, quindi, potremo tornare a occupare la posizione che ci meritiamo nel mondo.
Stiamo esagerando? Sentite un po'. Se approvato, il provvedimento prevede il "contingentamento progressivo del numero di abilitazioni professionali" per le attività di "acconciatore, barbiere e parrucchiere che possono essere conseguite in ciascun Comune, al fine di tutelare la concorrenza leale, garantire l'equilibrio dell'offerta sul territorio e incentivare la qualità professionale e l'innovazione". A farsene carico dovrebbe essere il ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), sulla base di un calcolo sulla densità di esercizi commerciali attivi (tenendo conto, bontà loro, anche dei flussi turistici).
A tal fine, prosegue la proposta di legge, dovrebbe essere varato un Piano nazionale di riduzione del numero degli esercenti, da aggiornare ogni tre anni, attraverso la riduzione delle abilitazioni professionali rilasciate a livello comunale ma anche la previsione di incentivi alla cessazione volontaria dell'attività e l'avvio di progetti di riconversione e riqualificazione professionale. Ma c'è di più: dovrebbe essere costituita anche una Commissione di vigilanza "incaricata di monitorare l'andamento del mercato".
Si potrebbero fare tanti commenti, che però si riducono a uno solo: se i nostri parlamentari dedicassero ai temi cruciali per il futuro del paese una frazione dell'attenzione e dell'impegno che sembrano aver speso sui barber shop, forse potremmo guardare al futuro con più ottimismo. Intendiamoci: non sarà la regolamentazione dei parrucchieri a far collassare l'economia italiana, come non sarebbe la loro piena liberalizzazione a farla decollare. Ma in questa vicenda si vede esattamente il male che avvolge il paese e ne trattiene la crescita: la produzione senza sosta di norme, regole e vincoli che, per quanto bene intenzionati, e chi potrebbe mai essere contrario al contrasto dell'abusivismo nel settore della barberia!, impediscono a individui creativi di avviare un'attività, e limitano la facoltà di scelta dei consumatori.
Alcune settimane fa, il ministro della deregolamentazione argentino, Federico Sturzenegger, ha tenuto l'annuale "Discorso Bruno Leoni". In quell'occasione ha fatto molti esempi di modifiche normative introdotte nei due anni trascorsi dall'elezione di Javier Milei: dall'abolizione del divieto di self service nelle stazioni di servizio alla possibilità per gli esportatori di angurie di imballarle come credono. Come nel caso della liberalizzazione (o regolamentazione) dei parrucchieri, nessuna di queste riforme è di per sé decisiva: ma è la somma delle liberalizzazioni che fa il totale della crescita; e, nel caso italiano, è la continua sottrazione di gradi di libertà che fa il declino.
Leggi sul sito dell'Istituto Bruno Leoni.