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La riforma dei commercialisti promette modernità, ma riporta professionisti e consumatori indietro di 30 anni. "Equo compenso" o "equo disastro"? Ne parliamo in questa nuova puntata dei Dossier LeoniFiles col nostro Carlo Amenta, commercialista e professore di Economia e Gestione delle Imprese presso l'Università di Palermo, e Carlo Stagnaro.
"Equo compenso" o "equilibrio precario"?
La logica dell'equo compenso è quella di tutelare il singolo professionista dallo svantaggio di non avere a disposizione il tipo di risorse proprie ad imprese più grandi e strutturate, ma la nuova norma estende il principio a tutti. Quale può essere il risultato? Pur concedendo l'utilità della tariffa nelle controversie fra prestatori e professionisti, l'equo compenso rischia di trasformarsi in un boomerang che limita la libertà dei professionisti di stabilire i propri prezzi, tentando di stabilire una misura a taglia unica per servizi che possono essere prezzati secondo logiche diverse, e creando attriti legali fra colleghi e congelando la concorrenza.
Professioni tra burocrazia e intelligenza artificiale Mentre l'IA automatizza dichiarazioni e contabilità, la riforma riporta indietro le lancette: tirocini obbligatori, formazione spesso datata, vincoli societari. Una "modernizzazione" che sembra più un revival degli anni '80, con corsi di aggiornamento che di rado apportano valore e giovani sempre meno attratti dalle professioni regolamentate e dalle logiche corporative che ne dettano il funzionamento.
Il messaggio finale è chiaro: se l'obiettivo era rendere le professioni più moderne e competitive, il risultato è un'altra infornata di lacci e lacciuoli. Come direbbe Amenta, "un equo canone per tutti... tranne per il buon senso".
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