
| LeoniFiles: le interviste |
Quali sono le ultime raccomandazioni della Commissione UE su come chiudere i piani nazionali di ripresa e resilienza?
Serena Sileoni ne parla con Giorgio Santilli, direttore di DIAC - Diario Infrastrutture e Ambiente Costruito, che ci fornisce una bussola per addentrarci fra le motivazioni tecniche - ed anche politiche - dietro le richieste di Bruxelles e gli aggiustamenti nazionali.
Qual è stata dunque la reazione all'incapacità, in primis italiana, di spendere i fondi del piano in maniera coerente? Le ultime ristrutturazioni, guidate anche dalla comunicazione strategica della Commissione UE proposta da Raffaele Fitto, mirano chiaramente a "salvare" le risorse allocate in quei contesti che si sono rivelati poco produttivi spostandole verso progetti più realizzabili, anche quando laterali rispetto alla logica stretta delle scadenze PNRR. Si tratta dunque delle ennesime misure "arlecchino" destinate a non lasciare traccia?
Il bilancio è in realtà misto: alcune opere e riforme (come gli appalti o le infrastrutture) hanno effettivamente spinto il sistema Italia a fare un salto di qualità, mentre altri interventi - specie nella missione "Industria 4.0" - si sono rivelati meno produttivi. Questo porta a riflettere sulla necessità di un approccio più rigoroso non solo per evitare di sprecare i fondi già stanziati, ma anche al livello superiore, in sede di progettazione di iniziative di simile portata.
Infatti, riconoscere le debolezze progettuali originarie del Next Generation EU potrebbe portare in dote l'eredità più importante: la consapevolezza dei limiti non solo delle pubbliche amministrazioni statali ma anche del debito comune come strumento per traghettare le riforme, oltre - speriamo - alla lucidità nel valutare se ce ne sia davvero bisogno.
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