Tasse che vanno e tasse che vengono. La scorsa settimana, il governo ha confermato di aver trovato le risorse per rinviare di un altro semestre la plastic tax e la sugar tax, cioè le imposte sulla plastica delle bottiglie e sul contenuto di zuccheri utilizzati per le bevande edulcorate. È una buona notizia perché queste imposte, i cui benefici sono assai dubbi, rischiano invece di danneggiare pesantemente alcuni settori tipici del Made in Italy. Proprio l'ennesimo rinvio, però, induce a interrogarsi sul senso di tali balzelli, peraltro in un contesto di continuo aumento della pressione fiscale per effetto, principalmente, del fiscal drag.
È la stessa domanda che ci ponevamo alcuni mesi fa, quando sembrava che sarebbero entrati in vigore da oggi 1 luglio. L'apparente impossibilità di trovare una copertura strutturale per eliminare permanentemente dei tributi che, dal momento della loro istituzione, non sono mai stati applicati è resa doppiamente bizzarra dal modesto gettito atteso, di poche centinaia di milioni di euro, in una fase storica in cui gli arrotondamenti si contano nell'ordine dei miliardi. Di fatto, questo trasmette l'immagine di un paese il cui bilancio pubblico si regge in modo precario, nonostante negli ultimi anni il ministro Giancarlo Giorgetti abbia fatto della responsabilità fiscale la cifra della sua azione. Eppure, la politica di bilancio dovrebbe essere fatta non solo di "cerotti" ma anche di segnali netti.
Nel caso delle due tasse in questione, che in modo diverso colpiscono le bevande zuccherate, l'elemento paradossale sta nel fatto che non c'è nesso tra l'obiettivo dichiarato (contrastare l'obesità, in particolar modo infantile) e lo strumento prescelto. Come è emerso durante un seminario dell'Istituto Bruno Leoni, le bevande zuccherate sono responsabili di appena lo 0,9% delle calorie quotidiane medie nel nostro Paese, e un rincaro della fiscalità del 28% avrebbe più ripercussioni sui cittadini e sulla filiera che sul sovrappeso o sulle abitudini alimentari di coloro che si trovano in fasce critiche.
Perfino nei casi in cui il nesso tra il consumo di certe sostanze e il danno sanitario è accertato, il fisco può essere un'arma a doppio taglio. Se spostiamo l'attenzione da Roma a Bruxelles, scopriremo che si sta discutendo di modifiche alla tassazione dei prodotti contenenti nicotina che potrebbe equiparare le sigarette tradizionali ai prodotti alternativi, i cui danni sono molto più limitati. Come dimostra un recente lavoro di "We Are Innovation", i paesi che hanno avuto i maggiori successi nella lotta al fumo - a partire dalla Svezia, che da quest'anno è ufficialmente "smoke-free" avendo un tasso di fumatori inferiore al 5% - hanno fatto leva non su atteggiamenti punitivi ma sulla possibilità per le persone di trovare alternative, nel rispetto della loro libertà e delle loro preferenze.
Insomma: per quanto siano situazioni molto diverse, sia per la dimostrabilità degli effetti sanitari del consumo, sia per l'efficacia delle misure in discussione, è importante riconoscere che non sempre le tasse sono lo strumento migliore per conseguire fini di per sé socialmente desiderabili. Assieme agli altri think tank europei di libero mercato, IBL collabora con Epicenter alla redazione del "Nanny State Index", che documenta le intrusioni dello Stato negli stili di vita dei cittadini e promuove un approccio attento al rapporto tra costi e benefici e fondato sulle evidenze. Regole punitive che non producono benefici sociali andrebbero evitate; e lo stesso vale per la logica "puritana" che porta talvolta a trattare allo stesso modo prodotti diversi, indipendentemente dal fatto che determinano effetti differenti. Una riduzione effettiva del danno è spesso un'alternativa preferibile alle crociate che, nel nome del suo azzeramento, non producono alcun risultato.
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