La trattativa fra il governo Meloni ed Elon Musk per l'impiego di Starlink nelle sedi diplomatiche e militari italiane ha scatenato le reazioni più disparate. Una cosa però è certa. Nel dibattito ci sono poche idee, e molto confuse.
Facciamo chiarezza sul tema con l'aiuto di Francesco Vatalaro, professore emerito di Telecomunicazioni presso l'Università di Roma "Tor Vergata", in una nuova intervista LeoniFiles condotta da Carlo Stagnaro.
Ripercorrendo lo sviluppo delle telecomunicazioni satellitari dagli anni '90 a oggi, Vatalaro spiega il funzionamento dei sistemi di Starlink e i motivi principali del vantaggio competitivo di SpaceX rispetto ai programmi dell'Agenzia Spaziale Europea.
Se parte di questo vantaggio deriva infatti dall'uso di lanciatori più efficienti e razzi riutilizzabili, che abbattono enormemente costi e tempi di realizzazione dell'infrastruttura in orbita, un'altra è data dalla tempestività con cui negli ultimi dieci anni SpaceX ha richiesto (con procedure pubbliche e nell'indifferenza generale) le autorizzazioni e gli "slot" necessari alle autorità internazionali.
Al di là dunque delle posizioni di chi vede nel sodalizio una sorta di sequel di Fascisti su Marte a scapito della sicurezza nazionale (magari ignorando che il rapporto con SpaceX sarebbe comunque regolato da obblighi contrattuali) e chi ritiene imprescindibile spendere 7-800 milioni di euro e non meno di 5 anni per lo sviluppo del satellitare made in Italy, sarebbe bene piuttosto interrogarsi sull'opportunità o meno di quest'ultima opzione.
In una situazione come quella italiana, in cui al ritardo sull'innovazione si aggiunge la scarsità delle risorse, è necessario fare considerazioni di policy e di "postura" istituzionale rispetto a simili tecnologie disruptive. Diventare partner nello sviluppo (e non solo semplici consumatori) di simili opportunità sarebbe non solo più remunerativo nel lungo termine, ma potrebbe contribuire a rispondere più efficacemente anche alle criticità già presenti in casa nostra.