Il Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra continua a chiedere trasparenza
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L’omicidio razziale di Moussa Diarra, tra non detti e scarsa trasparenza
Foto via Twitter/Il Fatto Quotidiano ([link removed])
Il Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra continua a chiedere trasparenza e che venga fatta chiarezza sull’omicidio ai danni del 26enne maliano, ucciso dalla polizia. Nel frattempo, il personale dei Centri in Albania torna in Italia, sintomo di un flop annunciato. La Spagna promuove una campagna di regolarizzazione e facilitazione per l’accesso al lavoro delle persone migranti.
1. Tutto quello che non torna sull’omicidio di Moussa Diarra
In Senato si è tenuta una conferenza stampa convocata dalla senatrice Ilaria Cucchi, a cui ha partecipato il Comitato Verità e giustizia per Moussa Diarra ([link removed]) , il giovane di origini maliane ucciso a Verona dalla polizia. Durante la conferenza stampa, Cucchi ha annunciato un’interrogazione parlamentare.
“Il modo in cui sono state gestite finora le indagini ha sollevato diverse perplessità tra i movimenti e le associazioni cittadine che seguono il caso e che si stanno riunendo formalmente in un comitato [...]. Le avvocate del fratello di Moussa, Djemagan Diarra, non riescono ad avere accesso ad alcune informazioni importanti, come i video delle telecamere: erano stati messi subito al centro dell’indagine perché, secondo procura e questura, avrebbero ripreso il momento dello sparo dando forza alla versione della legittima difesa del poliziotto”, riporta ([link removed]) Il Post. E ancora: “il 31 ottobre un’emittente tv locale aveva diffuso la notizia ([link removed]) secondo cui i video delle telecamere – in teoria inaccessibili, perché sotto segreto istruttorio – avevano ripreso Moussa Diarra intento ad aggredire il poliziotto con un
coltello a distanza ravvicinata: secondo questa versione il poliziotto sarebbe stato dunque obbligato a sparare per legittima difesa. Nel servizio tv i video però non venivano mostrati”.
“Nemmeno il coltello con cui avrebbe minacciato l’agente è stato fatto vedere alle avvocate”, riporta ([link removed]) il giornalista Michele Gambirasi su Il Manifesto. “L’unica certezza, hanno detto, è che Moussa è stato ucciso da un proiettile sparato ad altezza uomo che lo ha centrato in petto. Un altro gli ha bucato il cappuccio e ha infranto un vetro ad un’altezza di 1,52 metri. L’agente non avrebbe utilizzato il taser perché lasciato nell’armadietto: un altro punto su cui sarà necessario fare chiarezza”.
2. Centri vuoti in Albania: gli operatori tornano in Italia
Gli operatori dei centri in Albania se ne stanno andando da Gjader e Shenjin.
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“I centri in Albania continuano a svuotarsi. Dopo la drastica riduzione delle forze dell'ordine impiegate nelle strutture di Schengjin e Gjader, oggi arriva la notizia che anche gli operatori dei Cpr torneranno in Italia. In particolare, il personale di Medihospes, l'ente gestore dei centri per il rimpatrio dei migranti in Albania, faranno ritorno in territorio italiano entro il fine settimana”, scrive ([link removed]) la giornalista Giulia Casula su Fanpage. E ancora: “fonti del Viminale riferiscono che i centri continueranno comunque a rimanere attivi, sebbene queste strutture risultino vuote. Finora i Cpr non hanno mai effettivamente ospitato dei migranti: sia il primo che il secondo trasferimento si erano conclusi con rientro in Italia dei richiedenti asilo, dopo la decisione del Tribunale di Roma di non convalidare il trattenimento e rinviare la questione alla Corte di
giustizia europea”.
"Dapprima lo spreco enorme di fondi pubblici, poi le sentenze dei tribunali e i centri svuotati, in seguito il rientro di una parte del personale di polizia, adesso il ritorno degli operatori”, commenta ([link removed]) il deputato Riccardo Magi di +Europa. “Un fallimento epocale. Per fortuna [...].Se i giudici non avessero applicato le leggi, oggi in Albania ci sarebbero appena 18 migranti. Capite di che stiamo parlando? [...]”.
3. Anche in Albania si protesta contro i Centri
Da settimane, il presidente albanese Edi Rama ha optato per il silenzio di fronte al blocco delle deportazioni di migranti imposto dalla magistratura al governo italiano. Ma manca anche una risposta alle proteste che stanno avvenendo nel Paese.
“La lotta è iniziata dai tempi dell'annuncio Italia-Albania e l'opposizione ai Cpr in Albania è molto forte, sebbene manchi una copertura mediatica”, scrivono ([link removed]) i giornalisti Delia Cascino e Camillo Cantarano su Wired. "Il 23 novembre 2023 viene annunciato il protocollo Italia-Albania, che stabilisce il diritto da parte delle autorità italiane a costruire Cpr in territorio albanese. Dopo pochi giorni, un fronte vastissimo che include avvocati, ong che assistono i migranti e il partito democratico albanese (il principale partito d’opposizione al governo del premier Edi Rama) presenta un’istanza d’annullamento alla Corte Costituzionale [...]. Il ricorso si muove su due binari. Da un lato, la mancanza di comunicazione e trasparenza da parte del governo”. E ancora, commenta Marash Logu, consigliere del Partito Democratico albanese: “non sapevamo nulla di quell’accordo fino al giorno dell’annuncio. Non è stato consultato
né il Parlamento, né il presidente della Repubblica, che è colui che dovrebbe firmare cessioni di territorio. Il ricorso insiste sul fatto che il protocollo consegna de facto una porzione di territorio albanese all’Italia (Gjader è un’ex base militare in cui, per i prossimi 10 anni, vigerà la legge italiana) senza informare il presidente e il Parlamento”.
Non mancano le manifestazioni di collettivi e società civile: “ll 6 novembre gli attivisti albanesi, insieme al Network against migrant detentions hanno tenuto una conferenza a Tirana per organizzare una manifestazione il primo dicembre contro i due centri. [Un segnale importante è] arrivato dai tribunali italiani: una democrazia come si deve funziona così, non concentrando i poteri nelle mani di un singolo. Gli attivisti locali chiedono l'aiuto dei movimenti italiani. Noi non possiamo entrare nei Cpr, non sono territorio albanese” spiega Edison Lika, uno dei maggiori contestatori dei Centri. Logu insiste su un modello di accoglienza diverso: “possiamo anche prendere 10.000 migranti, ma non contro la loro volontà”. Infine: “l’Italia ha in mano il futuro del diritto d’asilo europeo - commenta Kristina Millona, accademica e giornalista d’inchiesta - dal momento che altri Stati, come la Germania, potrebbero seguirla in questa idea orribile, inumana e inefficiente”.
4. La Spagna punta a regolarizzare quasi un milione di persone migranti
Il governo spagnolo ha approvato un nuovo regolamento sull'immigrazione per migliorare l'inclusione delle persone migranti in 3 aree chiave: lavoro, istruzione e famiglia.
“Le nuove regole entreranno in vigore a maggio, con i funzionari governativi che si aspettano che circa 300.000 persone migranti all’anno otterranno lo status legale fino al 2027. Saranno ammissibili solo le persone che vivono in Spagna da almeno due anni”, riporta ([link removed]) la giornalista Jenny Gross sul New York Times. “Il nuovo regolamento mira a semplificare le procedure attraverso le quali gli immigrati ottengono i permessi di soggiorno e di lavoro, sia dai paesi di origine che sul suolo spagnolo, con l'obiettivo di facilitare il loro accesso al mercato del lavoro. Si tratta di una modifica di ampia portata per cui vi sono cambiamenti rispetto al regime precedente in diversi aspetti della politica dei visti e nelle formule con cui gli stranieri possono regolarizzarsi. In generale elimina alcuni obblighi, riduce le scadenze, taglia parte della documentazione da presentare, semplifica il passaggio da un
permesso all'altro per ridurre gli oneri amministrativi e in generale rende più flessibile l'accesso al mercato del lavoro per gli stranieri”, scrive ([link removed]) la giornalista Gabriela Sanchez su El Diario.
5. Un nuovo sgombero a Trieste lascia le persone migranti per strada
Nessuna soluzione per le persone migranti senza casa che a Trieste vengono continuamente sgomberate dalle forze dell’ordine.
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“Le temperature si stanno abbassando e vivere nei palazzi abbandonati è pericoloso. Spesso ci sono risse tra gruppi di persone migranti, che provengono in gran parte da Bangladesh, Afghanistan, Pakistan e Nord Africa. Lo scorso giugno le autorità cittadine avevano sgomberato i cosiddetti silos, dove vivevano circa quattrocento persone, ma per loro non è stata trovata un’altra soluzione”, scrive ([link removed]) la giornalista Annalisa Camilli su Internazionale. E ancora: “non c’è alcun centro per transitanti, cioè i migranti che arrivano a Trieste e vogliono spostarsi in altre città, e niente per i molti richiedenti asilo appena arrivati. Esiste solo un ostello che il comune aveva promesso di ampliare, ma non lo ha fatto. La prefettura aveva annunciato il raddoppio dei posti nella struttura dopo la conclusione dei lavori alla rete fognaria. Il piano di ristrutturazione avrebbe dovuto essere condotto dalla proprietà,
cioè dal comune di Trieste, che non ha mai fatto un progetto, e quindi questi interventi non sono stati effettuati. Nel frattempo la prefettura avrebbe dovuto collocare dei container nell’area dell’ostello, perché le strutture in muratura possono ospitare fino a ottanta posti [...]”, commenta Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics - Consorzio italiano di solidarietà di Trieste e componente del direttivo dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), intervistato da Camilli.
Infine: “Nei magazzini abbandonati i migranti si sono separati in base alla nazionalità. Di giorno si rifugiano nel centro diurno attivo grazie alle associazioni, ma di notte devono tornare ai vecchi magazzini davanti al mare, esposti a molti pericoli a causa della presenza di gruppi criminali. Sono tutti regolari, richiedenti asilo in attesa di essere convocati dalle autorità. Alcuni hanno subìto violenze e torture lungo la rotta, in particolare al confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina”.
6. Razzismo e violenze in carcere
Decine di episodi brutali nel fascicolo relativo alle presunte violenze e torture nel carcere di Trapani ([link removed]) per cui sono indagati 46 agenti, circa il 20 per cento del totale, e dieci sono finiti ai domiciliari.
"Una delle storie più eclatanti è quella che avrebbe vissuto un detenuto romeno tra il 2022 e il 2023. C’è un episodio in cui l’uomo viene colpito da un agente con una manata in faccia durante il trasporto nel reparto di isolamento, senza che stesse opponendo alcuna resistenza. In un altro caso viene picchiato da un suo compagno e gli agenti non intervengono, osservando la scena", riporta ([link removed]) il giornalista Luigi Mastrodonato su Domani.
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E ancora: "Il procuratore scrive che a Trapani, nel periodo sotto indagine, è emerso un totale disprezzo della figura del detenuto. Nei confronti dei reclusi è stato usato un linguaggio offensivo, come coso inutile, sei un cane, ammazzati, con anche la matrice razzista. In un’intercettazione un gruppo di agenti parla di come picchiare i detenuti senza lasciare segni. Qualcuno suggerisce di coprire il colpo con un lenzuolo, che poi è quello che sarebbe stato fatto in ospedale a danno di un detenuto ricoverato, secondo quanto ricostruito nell’indagine. Riferendosi a un altro detenuto un agente sottolinea che il metodo del lenzuolo non serve perché "tanto è nero, non si vede un [...]".
7. Morire nell’indifferenza, il caso di Bangaly Soumaoro
Nove medici sono attualmente indagati per omicidio colposo nel caso di Bangaly Soumaoro, un uomo guineano di 33 anni, ospite del centro di accoglienza di Bari, deceduto all'ospedale San Paolo il 4 novembre. “Sono passati 20 giorni dalla sua morte. Nove persone sono indagate con l’ipotesi di omicidio colposo (quattro medici e infermieri del San Paolo; cinque del presidio medico del Cara), perché potrebbero non aver curato in modo adeguato Soumaoro, che aveva ingerito degli oggetti metallici e diceva di star male da giorni”, riporta ([link removed]) la giornalista Benedetta de Falco su Repubblica.
“Hanno chiamato l'ambulanza solo dopo che la sua ragazza ha iniziato a piangere, ha riferito un migrante del rifugio il giorno dopo la morte di Soumaoro. Altri hanno affermato che, per giorni, l'uomo era stato curato solo con paracetamolo. Una Tac ha rivelato elementi insoliti nello stomaco di Soumaoro che non potevano essere attribuiti al cibo, spingendo le autorità a ordinare un'autopsia. La registrazione del personale sanitario sotto inchiesta è stata una fase procedurale successiva all'autopsia. Tuttavia, ha segnato uno sviluppo significativo in un caso che ha attirato notevole attenzione a Bari. Dopo la notizia della morte di Soumaoro, la notte del 4 novembre i migranti ospitati nel rifugio di Palese hanno organizzato una rivolta, che è continuata fino al pomeriggio del giorno successivo” riporta ([link removed]) InfoMigrants.
La mattina del 5 novembre circa 200 persone hanno marciato da Palese, periferia nord di Bari, vicino all'aeroporto, verso la prefettura, nel centro della città, chiedendo migliori cure e migliori condizioni di vita. Per ore, migranti e membri di associazioni locali si sono radunati fuori dall'edificio governativo, chiedendo migliori cure, alloggi migliori e maggiore libertà di entrare e uscire dalla struttura.
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