Deportazioni di massa e detenzione: Trump attacca le persone migranti
Foto via Twitter/Violeta Moreno-Lax
Donald Trump vince di nuovo le elezioni negli Stati Uniti: si temono deportazioni di massa nei confronti delle persone migranti. Il nuovo rapporto di Cild “Chiusi in gabbia” rivela le condizioni disumane all’interno del Cpr di Roma. Nel frattempo la nave Libra deporta 8 persone in Albania.
1. Trump vince negli Usa: quale sorte per le persone migranti?
Donald Trump vince le elezioni negli Stati Uniti (Usa), ed è così destinato a diventare il nuovo presidente. Sale la preoccupazione per la sorte delle persone migranti presenti negli Usa.
“La paura si diffonde tra le comunità di persone migranti negli Stati Uniti - specie se prive di documenti - mentre Donald Trump si prepara a conquistare la Casa Bianca, promettendo deportazioni record dopo una campagna elettorale costellata di discorsi d'odio xenofobi e un primo mandato segnato da misure repressive anti-immigrazione”, scrive il giornalista Justo Robles sul Guardian. Lindsay Toczylowski, direttore esecutivo dell'Immigrant Defenders Law Center, uno studio legale di giustizia sociale con sede a Los Angeles che si occupa di persone che affrontano la deportazione, afferma sul Guardian: “ci sono molte persone nella nostra comunità che vivono in famiglie miste, quindi le deportazioni di massa sono una minaccia diretta [...]. L'amministrazione Trump [del 2016] ha mostrato disprezzo per i bambini immigrati in passato, quindi sarà necessario che gli organizzatori lavorino con gli avvocati, lavorino con le comunità, e intendiamo sfidarlo in tribunale".
Inoltre, Trump “ha affermato che impiegherà la Guardia Nazionale e, se necessario, le truppe federali per raggiungere il suo obiettivo e non ha escluso la possibilità di istituire campi di internamento per processare le persone in vista della deportazione.
Trump ha affermato che avrebbe cercato di porre fine alla cittadinanza automatica per i figli nati da immigrati, una mossa che sarebbe in contrasto con l'interpretazione consolidata del XIV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti”, riporta il giornalista James Oliphant su Reuters.
2. Il nuovo rapporto sul Cpr di Roma rivela le violazioni dei diritti umani nel Centro
“Chiusi in gabbia: viaggio nell’inferno del Cpr di Ponte Galeria” è il titolo del nuovo rapporto di Cild sulle condizioni all’interno del Cpr di Roma Ponte Galeria.
“ll Rapporto è frutto delle informazioni raccolte tramite apposite istanze di accesso civico generalizzato rivolte a tutte le istituzioni competenti (Questura, Prefettura, ASL), nonché attraverso delle attività ispettive effettuate, negli ultimi mesi, nel Centro romano. A riguardo, importante si è rivelata l’ispezione effettuata, con la deputata Rachele Scarpa, il 18 giugno 2024. Durante l’attività ispettiva, è stato possibile accertare condizione indegne di detenzione; visionare il registro degli eventi critici e accertarne le lacunosità ed i rischi di manomissione, acquisire le cartelle sanitarie delle persone detenute e la bolla dei farmaci acquistati, da cui si evidenzia un chiaro abuso nell’acquisto e nella somministrazione di psicofarmaci”, si legge sul sito di Cild.
Secondo Cild “è essenziale porre in essere una battaglia per contrastare ogni luogo di detenzione amministrativa. A partire dal Cpr di Ponte Galeria e da una società civile presente nella città di Roma che deve richiederne a gran voce la chiusura, dando un concreto sostegno alle persone detenute che quotidianamente mettono in campo pratiche di resistenza”.
3. Malagestione e costi elevati: Actionaid rivela le condizioni inumane nei Cpr italiani nel nuovo rapporto
Sono 50mila le persone straniere detenute in Italia dal 2014 al 2023 in Cpr che continuano a violare i diritti umani.
“Un disastro per le finanze pubbliche in uno scenario di progressiva e deliberata confusione tra sistema di accoglienza e detentivo, caos amministrativo e costi astronomici”, denuncia ActionAid nel suo nuovo rapporto in merito. “All’interno atti di autolesionismo, rivolte provocati dalle condizioni di estremo disagio e privazione dei diritti basilari delle persone, hanno portato a continui danni e distruzioni rendendo indisponibili gran parte dei posti. Il sistema funziona da sempre a capacità ridotta e nel 2023 al 53% della sua capienza ufficiale. Ad oggi sono aperte e funzionanti solo 10 strutture su 12 attive. Il tasso di efficacia della politica detentiva finora risulta irrisorio: dai Cpr sono rimpatriati solamente il 10% nel 2023 delle persone colpite da un provvedimento di espulsione, cioè su 28.347 persone sono rimpatriate "solo" 2.987 dai Cpr italiani. Il totale dei rimpatri è di 4.267 (comprensivo di tutte le procedure effettuate fuori dai Cpr)”.
Inoltre: “a Torino il costo del CPR, chiuso dal marzo 2023, è esorbitante: oltre 3 milioni di euro per l’affitto della struttura a Ferrovie dello Stato, ristrutturazioni straordinarie e saldo all’ultimo ente gestore. Quello di Roma a Ponte Galeria costa quasi 6 milioni tra 2022 e 2023. A Milano una gestione commissariata a seguito di indagini della procura in cui erano emersi frodi in pubbliche forniture, turbativa d’asta e condizioni infernali per i trattenuti. A Gorizia la prefettura sostiene di non essere in possesso di dati contabili. Il Cpr di Brindisi, con una capienza effettiva di 14 posti, vede il costo medio di un posto superare i 71.500 euro all’anno. Costi fuori controllo per centri senza regole. Sono cooperative e soggetti for profit, tra i quali anche una multinazionale, a gestire le strutture detentive tra confusione amministrativa e mancanza di trasparenza”.
4. La nave Libra riparte per l’Albania con 8 persone migranti
La nave della marina militare Libra è ripartita verso l’Albania per la deportazione di 8 persone migranti. Un film già visto che rischia nuovamente il fallimento.
“La volta scorsa erano sedici, ora sono solo otto: tre egiziani e cinque bengalesi. Sono arrivati venerdì mattina alle 7.30 al molo di Shengjin, spauriti negli abiti nuovi che i militari della marina italiana hanno consegnato durante la loro lunga traversata nella nave militare, dove hanno viaggiato per due giorni e una notte, dopo essere stati soccorsi nelle acque internazionali al largo della Sicilia”, spiega il giornalista Davide Carlucci su Repubblica. E ancora: “tra gli otto naufraghi c’è un soggetto ritenuto “vulnerabile”, che sarà quindi riportato in Italia”. Nel frattempo, il Tribunale di Catania boccia il decreto “paesi sicuri”: “una lista di paesi sicuri stabilita con decreto non esime il giudice all’obbligo di una verifica della compatibilità della designazione con il diritto dell’Unione europea. A scriverlo il tribunale di Catania in un provvedimento con cui non ha convalidato il trattenimento disposto dal questore di Ragusa di un cittadino egiziano che nel centro di Pozzallo ha richiesto la protezione internazionale”, riporta la giornalista Marika Ikonomu su Domani.
E ancora: “per il giudice, l’Egitto non può ritenersi tale sotto vari aspetti: in ordine al diritto alla vita, in ordine alle restrizioni alla libertà personale e alla libertà di parola e di stampa, in ordine al diritto a un equo processo e alla libertà di religione, e poi per quel che riguarda donne e minori e i diritti LGBTQ+, nonché in ordine all’esistenza di tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante e in ordine alla protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti”, si legge su Il Post.
5. Abbandonate nel deserto, coi soldi Ue
18 persone sono state abbandonate nel deserto tra Tunisia e Algeria in seguito all'espulsione da parte delle autorità tunisine. Tale respingimento si inserisce nel quadro di esternalizzazione delle frontiere finanziato dall’Unione Europea (Ue).
“Un puntino rosso su una distesa di sabbia è l’unica traccia di loro: 18 persone abbandonate nel deserto dalla polizia tunisina. Sei uomini, otto donne, di cui tre incinte, diversi bambini e due neonati di quattro e due mesi”, scrive la giornalista Lidia Ginestra Giuffrida su Fanpage. Il respingimento è stato documentato dalle stesse persone in questione, le cui voci sono state amplificate dall'organizzazione Refugees in Libya: “Siamo senz'acqua e senza cibo, abbiamo donne e bambini qui [...]. Eravamo in mezzo al mare quando i tunisini sono arrivati, ci hanno fermati, e ci hanno costretti a tornare indietro. Durante il respingimento la guardia costiera ci ha picchiati molto forte, hanno sequestrato i nostri telefoni e i nostri soldi e hanno preso tutto quello che avevamo”, spiega Sebotè, uno dei sei uomini. “Poi ci hanno abbandonati qui, nel deserto, senza niente. Allora abbiamo provato a tornare indietro a Sfax ma ci hanno intercettati di nuovo, picchiati e riportati nel deserto ma ancora più lontano. Abbiamo camminato sei giorni avanti e indietro”.
E ancora: “una pratica, quella delle deportazioni nel deserto da parte della polizia tunisina, divenuta prassi del nuovamente eletto governo Kais Saied. L’accordo con l’Italia e l'Europa, siglato a luglio del 2023 e ampliato con nuovi finanziamenti da parte dell’Italia lo scorso aprile, d’altronde, prevede proprio questo: bloccare le partenza dei migranti subsahariani dalle coste tunisine. Come lo si fa poco importa”.
6. La protesta delle persone migranti a Bari
Una protesta lunga circa tre ore quella di un centinaio di persone migranti del Cara di Bari-Palese per le condizioni di vita nel centro di accoglienza.
“Centinaia di migranti ospiti del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Bari, si sono riversati sulle strade del capoluogo pugliese all’indomani della morte di un ragazzo guineano di 33 anni, utente della stessa struttura. L’uomo, morto per arresto cardiaco dopo aver ingerito 11 batterie stilo, sarebbe stato trasportato all’ospedale San Paolo di Bari (dove è avvenuto il decesso) solo all’indomani del tentativo di suicidio. Una morte che, secondo gli altri ospiti del centro, poteva essere evitata se ci fosse stata più solerzia nel primo intervento. L’assistenza sanitaria e le cure ricevute, infatti, si sarebbero limitate alla somministrazione di una semplice compressa”, scrive il giornalista Giacomo Guarini su Il Manifesto. E ancora: “le condizioni igienico sanitarie sono pietose: solo negli ultimi mesi, in rapida successione, i ratti avevano morso e infettato un utente ed erano state rinvenute delle blatte nei piatti sigillati del servizio mensa. È in questo contesto che dodici richiedenti asilo, cinque egiziani e sette bengalesi inizialmente reclusi a Gjader, sono stati trasferiti dall’Albania”.
“Una marcia non violenta diretta a Bari, con la scorta della polizia, fino al raggiungimento della Prefettura per un presidio di protesta”, riporta l’Unità.
7. La violenza continua sulle frontiere dell’Ue
Richiedere asilo a Cipro, Polonia e Bulgaria sta diventando sempre più difficile, dato il gran numero di respingimenti alle frontiere esterne dell'Unione Europea (Ue).
“John, un nigeriano di 34 anni, è arrivato nel campo di Aglantzia, situato all'interno di una zona cuscinetto controllata dall’Onu a Cipro lo scorso luglio. Tre mesi dopo, viveva ancora nel campo. Come decine di altri migranti provenienti da Camerun, Sudan, Siria e Afghanistan, John ha cercato di presentare domanda di asilo quando è arrivato nella parte meridionale dell'isola. Eppure è stato respinto dalla polizia e portato nel campo di fortuna dell’Onu insieme agli altri migranti con cui viaggiava”, si legge su InfoMigrants. “Quando ci hanno trovato [gli agenti di polizia, ndr], ci hanno costretti a sederci per terra mentre ci puntavano le pistole. Poi ci hanno ordinato di tornare a nord", afferma Ibrahim, un’altra persona migrante intervistata da InfoMigrants.
Migliaia di persone migranti in cerca di protezione sono state espulse con la forza alle frontiere terrestri esterne dell'Ue per decenni. Queste pratiche sono continuate per anni dopo la crisi migratoria europea del 2015, spesso accompagnate da varie forme di violenza e umiliazione. Spesso, tali violenze, si sono verificate lungo la rotta balcanica o nella regione di Evros al confine tra Grecia e Turchia. “Più di recente, i respingimenti sono aumentati in altri punti di ingresso dell'Ue, come Cipro e Polonia. Circa 9.000 respingimenti sono stati registrati tra dicembre 2023 e luglio 2024 al confine polacco con la Bielorussia, secondo le statistiche raccolte dall'organizzazione We are monitoring (WAM)”, riporta InfoMigrants.
Il team di Open Migration
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