Alcuni giorni fa, il Presidente della Repubblica ha mosso pesanti rilievi alle agenzie di rating. A suo avviso, la buona performance del Pil italiano non giustifica il trattamento, spesso scettico, riservato al nostro paese. Intervenendo alla cerimonia di premiazione dei Cavalieri del Lavoro, Sergio Mattarella ha detto: "La posizione netta sull'estero, a giugno di quest'anno, era creditoria per circa 225 miliardi di euro. Una dimensione enorme: il 10,5 per cento del pil. Irragionevole che non venga notato dalle agenzie di rating nel valutare prospettive e affidabilità dell'economia italiana".
Secondo alcune ricostruzioni di stampa, il Quirinale sperava di esercitare una sorta di moral suasion su una agenzia specifica, cioè Moody's, l'unica che ancora colloca il nostro paese giusto uno scalino al di sopra del rating "spazzatura" (nell'ultimo aggiornamento ci aveva attribuito Baa3). Eppure, al di là delle intenzioni, non si può ignorare la sostanza delle parole del Capo dello Stato; tanto più che già in passato egli era intervenuto in modo critico su questo tema. Né l'opinione di Mattarella appare isolata: nel tempo praticamente tutti i leader dei maggiori partiti politici, da destra a sinistra, hanno accusato le agenzie di avere un immotivato pregiudizio negativo contro l'Italia o di complottare contro di essa..
In un certo senso il complotto c'è ma il colpevole non sta nei corridoi scintillanti delle agenzie di rating: sta nelle stanze del potere italiano. Il compito delle agenzie è pronunciarsi sulla affidabilità dei creditori, inclusi quelli sovrani: e questa dipende, da un lato, dalla mole del debito da ripagare e, dall'altro, dalla capacità di generare reddito futuro tale da assolvere ai propri impegni. È vero che l'Italia ha sempre onorato i propri obblighi debitori, ma non si può non osservare che il nostro paese ha il secondo debito più alto d'Europa (in proporzione al Pil), che non ha alcuna prospettiva realistica di ridurlo e che la crescita è tornata ai livelli da zero virgola a cui eravamo abituati. Tutto ciò mentre, tra Covid, crisi energetica e Pnrr, l'Italia più di ogni altro Stato membro dell'Unione europea aumentava le spese in deficit e quindi il debito. E' un puro caso, ma dice molto, che le parole del Presidente siano arrivate nello stesso giorno in cui l'Istat diffondeva una deludente stima provvisoria della crescita del Pil nel terzo trimestre 2024: se confermati, questi dati rendono estremamente arduo raggiungere il target del governo di una crescita dell'1 per cento.
Sempre nello stesso giorno, la stampa diffondeva un ulteriore dato assai preoccupante: secondo l'ultima edizione dell'Edufin Index, l'indagine sull'educazione finanziaria realizzata da Alleanza Assicurazioni insieme a Fondazione Mario Gasbarri e con la collaborazione scientifica di SDA Bocconi, gli italiani non raggiungono la sufficienza in tale materia. Comprendere il nesso tra produttività, crescita e impatto del debito è cruciale per poter giudicare in modo equilibrato le politiche economiche: ciò vale per gli elettori e vale, a maggior ragione, per gli eletti.
In sostanza: l'Italia cresce poco, è caratterizzata da scarsa educazione finanziaria e ha un debito colossale. Non sorprende che ce la prendiamo non con chi fa il debito, ma con chi ci dà il rating.
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