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L’omicidio razziale di Moussa Diarra


Foto via Twitter/Melting Pot Europa

 

La storia di Moussa Diarra è quella di molte altre persone migrante inghiottite da un sistema violento, fatto di precarietà e inaccessibilità ai documenti. Il governo ha approvato un nuovo decreto sui paesi sicuri per tentare di aggirare la sentenza del Tribunale di Roma. Nel frattempo, l’Ue continua a non essere trasparente sulle relazioni con la Tunisia in merito alle politiche anti-migranti.

1. La storia di Moussa Diarra, ucciso dalla polizia

Si chiamava Moussa Diarra il 26enne maliano ucciso a colpi di pistola da un poliziotto. Benché la dinamica di quella che è stata definita come aggressione sia ancora da chiarire e il poliziotto sia ora indagato per eccesso colposo di legittima difesa, ciò che è passato più in sordina è la storia di Diarra, fuggito insieme al fratello dai centri di detenzione libici, dove è stato torturato.

“Dal Mali circa nove anni fa entrambi erano arrivati in Libia, dove avevano lavorato per otto mesi, per pagarci il viaggio sul barcone”, e abbiamo subito violenze in quelle prigioni da cui si esce solo pagando. Djemagan Diarra, fratello maggiore di Moussa arrivato qualche giorno fa da Torino a Verona per riconoscerne il cadavere, ha confermato che, ancora minorenne, Moussa era stato trattenuto e torturato nei centri di detenzione libici: gli hanno fatto di tutto, ha detto” riporta la giornalista Giulia Siviero su Il Post. Arrivato a Verona è entrato in un centro di accoglienza noto per le pessime condizione di gestione interne per poi iniziare la lunga trafila per la propria regolarizzazione, la quale ha gravemente compromesso la sua salute mentale, “nel frattempo, tra un appuntamento e l’altro per tentare di regolarizzare in modo più solido la propria situazione, cambiavano le leggi italiane in materia di immigrazione. Nel 2018 era entrato in vigore il cosiddetto “primo decreto sicurezza” sostenuto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, che aveva abolito il permesso di soggiorno per motivi umanitari sostituendolo con altri più specifici, difficili da ottenere e riservando la protezione speciale (da allora così denominata) quale forma residuale di tutela”.

“Un omicidio razziale made in Italy”, lo ha definito Mackda Ghebremariam Tesfaù su Il Manifesto. Sul cadavere di Diarra ha infierito anche Matteo Salvini, pubblicando dichiarazioni agghiaccianti come “con tutto il rispetto, non ci mancherà. Grazie ai poliziotti per aver fatto il loro dovere”. Scrive Tesfaù: “queste parole meritano di essere portate all’attenzione della Commissione parlamentare sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni d’odio”.


2. Nuova stretta sulle persone straniere in Italia: escluse da benefici previsti per la controparte italiana

Un nuovo provvedimento colpirà negativamente i/le contribuenti extra Ue.

“La manovra del governo Meloni prevede infatti una stretta sulle spese detraibili per il coniuge e i figli a carico tra 21 e 30 anni (per gli italiani, invece, le detrazioni varranno sia per il coniuge che per i figli). Le detrazioni per i figli a carico sotto 21 anni sono state assorbite dall’assegno unico dal marzo 2022”, riporta Open. “La norma sui lavoratori extra Ue è nel primo articolo della manovra: quello che rivede le detrazioni Irpef. Ebbene, i contribuenti che non sono cittadini italiani o europei o di uno Stato aderente allo Spazio economico europeo (come Islanda, Liechtenstein, Norvegia) e che hanno figli e coniuge a carico residenti all’estero, questi lavoratori che pagano l’Irpef qui in Italia dal prossimo anno non avranno più le detrazioni per i congiunti”, si legge su Repubblica.

Infine: “i/le contribuenti extra Ue sono tanti: 3,4 milioni su 4,6 milioni di stranieri in Italia, il 74%. Nel 2023, come risulta dai dati fiscali del ministero dell’Economia rielaborati dalla Fondazione Moressa, hanno dichiarato ben 52,7 miliardi di reddito. Pagando 7 miliardi di Irpef all’Italia. In media si tratta di redditi da 16 mila euro lordi anno. E di un’imposta media di 2.900 euro”.

3. Pronto un nuovo decreto Albania

Il governo ha approvato un nuovo decreto con la lista di nuovi “paesi sicuri” per tentare di aggirare la sentenza del Tribunale di Roma che ha di fatto reso inutili e illegittimi i trattenimenti in Albania. 

“Dalla lista sono stati rimossi il Camerun, la Colombia e la Nigeria, paesi in cui sono documentate le violazioni dei diritti umani o sono in corso dei conflitti, anche se riguardano solo alcune aree di questi stati. Nel nuovo elenco rimangono tuttavia Egitto e Bangladesh, i paesi di provenienza del primo gruppo di migranti trasferiti in Albania e il cui trattenimento non è stato convalidato”, riporta la giornalista Annalisa Camilli su Internazionale. E ancora, su Internazionale, Gianfranco Schiavone, giurista e presidente del Consorzio italiano di solidarietà afferma: “la norma europea è sovraordinata alla norma nazionale, in caso di contrasto tra le due la seconda deve essere disapplicata”.

Nel frattempo, mentre il il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani afferma che alla selezione delle persone migranti “idonee” da mandare in Albania era presente anche l’Unhcr, quest’ultima smentisce: “l'agenzia ha sottolineato che il suo personale condurrà missioni ad hoc per osservare le varie fasi del processo e monitorare le procedure di identificazione, screening e valutazione della vulnerabilità, nonché il trattamento delle persone trasferite e le condizioni dei richiedenti asilo nei centri. Tale ruolo non include alcuna attività di identificazione ed è limitato al suo mandato e alle sue specifiche responsabilità nell'ambito della Convenzione sui rifugiati del 1951 firmata a Ginevra”, riporta Info Migrants.


4. Le politiche di deterrenza e la violenza dei cartelli alimentano una crisi umanitaria nel Messico meridionale

Le politiche di deterrenza degli Stati Uniti e del Messico volte a frenare il  flusso di migranti verso gli Stati Uniti stanno lasciando migliaia di persone vulnerabili  intrappolate nel Messico meridionale, dove le associazioni umanitarie non sono in grado di operare a causa della crescente violenza legata ai cartelli.

“Il Messico è ora tra i primi cinque paesi che ospitano il numero più alto di nuovi richiedenti asilo al mondo, secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR. Solo nel 2023 ha registrato un record di quasi 141.000 richieste . Circa il 60% delle domande è stato presentato in Chiapas, lo stato meridionale al confine con il Guatemala che la maggior parte dei migranti provenienti dall'America centrale e meridionale, così come da altri continenti, attraversa per cercare di raggiungere gli Stati Uniti”, scrive la giornalista Mie Hoejris Dahl sul New Humanitarian. “Negli ultimi anni il Chiapas è stato colpito da una guerra territoriale tra l'ex dominante cartello di Sinaloa e il Cártel de Jalisco Nueva Generación (Cjng), una delle più forti organizzazioni criminali del Messico. Con il Chiapas di fatto sotto il dominio dei due cartelli, i migranti bloccati nel Messico meridionale denunciano quotidianamente estorsioni, rapimenti, minacce e molestie, anche da parte delle forze dell'ordine e degli agenti di pattuglia di frontiera”.

Infine: “Ernesto Lorda, direttore per il nord dell'America Centrale e il Messico presso il Norwegian Refugee Council (Nrc), ha affermato che le organizzazioni umanitarie non riescono a raggiungere molte persone bisognose di protezione che, invece, finiscono nelle mani della criminalità organizzata. Una questione chiave, ha spiegato Lorda, è che il diritto internazionale umanitario non si applica quando si ha a che fare con la criminalità organizzata. Non abbiamo un quadro che ci guidi, ha affermato”.


5. L'Ue manca di trasparenza sui diritti umani in Tunisia

Secondo la Mediatrice europea Emily O'Reilly (Eu Ombudsman), la Commissione europea non ha divulgato i risultati di un'indagine sui diritti umani in Tunisia prima della firma di un accordo con il paese nordafricano.

“L’Ombudsman ha criticato la Commissione per non essere stata trasparente sulle informazioni sui diritti umani su cui si è basata prima di firmare un accordo con la Tunisia che include fondi UE per la gestione delle frontiere. Ha anche chiesto alla Commissione di stabilire criteri espliciti per la sospensione dei finanziamenti Ue. La Commissione non ha pubblicato alcuna informazione in merito all'esercizio di gestione del rischio su cui si è basata per il Memorandum d'intesa (MoU) del 2023, nonostante le preoccupazioni dell'opinione pubblica sulla situazione dei diritti umani in Tunisia, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei migranti”, riporta il sito ufficiale del Mediatore Ue.

E ancora: “nei risultati della sua indagine, l'Ombudsman ha sottolineato che la Commissione ha l'obbligo di garantire che i fondi UE non sostengano azioni che violano i diritti umani. Ha chiesto alla Commissione di stabilire e pubblicare criteri concreti per quando sospenderà i finanziamenti UE ai progetti in Tunisia a causa di violazioni dei diritti umani”.


6. I nostri nuovi articoli su Open Migration

Dopo che il trattenimento delle 12 persone migranti deportate in Albania è stato cancellato dal Tribunale di Roma, è partito l'attacco di diversi membri del governo ai giudici e all'eccessivo potere che questi avrebbero. Attacco scomposto, che mette in dubbio la separazione dei poteri e, di conseguenza, lo Stato di diritto. Ne scrive Patrizio Gonnella nel suo editoriale.

Il Segretariato del Meccanismo di esperti indipendenti incaricato di promuovere la giustizia e l'uguaglianza razziale ha pubblicato un nuovo rapporto riguardante le discriminazioni e il razzismo sistematico perpetrato dalle forze dell’ordine e subito dalle persone africane e afrodiscendenti in Italia. Un monito che ci dovrebbe far riflettere sullo stato dell'arte delle discriminazioni sistemiche nel paese. Ce ne parla Oiza Q. Obasuyi


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