I Cpr in Albania sono pronti, tra mille criticità
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L’esternalizzazione della detenzione
Foto via X/Nicolò Zancan ([link removed])
I Cpr in Albania sono pronti: numerose le criticità, dall’assenza di trasparenza nell’assegnazione a enti privati della gestione dei centri fino alle lacune giuridiche riguardanti la salvaguardia da trattamenti inumani e degradanti. Nel frattempo, il Decreto Piantedosi verrà messo al vaglio della Corte Costituzionale.
1. Pronti i Centri in Albania
Da lunedì 14 ottobre i Cpr in Albania entreranno in piena funzione. Nonostante ciò, rimangono le numerose criticità già denunciate a livello giuridico e non solo. La testata giornalistica ([link removed]) Politico, cita Federica Borlizzi, avvocata e collaboratrice Cild, dicendo che “i centri” sono “una Guantanamo italiana”, riferendosi al famigerato campo di detenzione degli Stati Uniti a Cuba, in cui i sospettati di terrorismo venivano imprigionati senza processo e torturati”.
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“Centri pericolosi per il rispetto dei diritti umani, e per le casse pubbliche. I contratti di affidamento diretto, ottenuti da Domani, raccontano di procedure inusuali per chi maneggia commesse pubbliche di una certa importanza e valore. Si tratta di decine di appalti assegnati senza gara a partire da fine marzo fino a settembre. Affidamenti diretti, appunto, che sommati valgono oltre 60 milioni di euro”, scrivono ([link removed]) i giornalisti Marika Ikonomu e Giovanni Tizian su Domani. E ancora: “questa pratica di affidare senza gara per rispettare l’imperativo del “fate presto” ha creato non poche preoccupazioni all’interno degli uffici della Difesa: cosa succederebbe con una eventuale verifica della Corte dei Conti o di altri organi deputati al controllo? Le deroghe applicate sono giustificate. Gli affidamenti oltre la soglia si sono resi necessari in considerazione dei tempi ristretti per la
realizzazione delle stesse è la replica della Difesa, che aggiunge: qualsiasi tipo di affidamento tramite gara competitiva sarebbe stato incompatibile con le tempistiche”. Inoltre, i partiti Pd E Avs hanno presentato un’interrogazione parlamentare ([link removed]) a proposito di questi affidamenti diretti e senza trasparenza.
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A ciò si aggiunge una sentenza della Corte Ue di giustizia che già pone importanti criticità sulla legittimità di questi Centri: “giuridicamente, il protocollo Albania è diventato inapplicabile dopo che, la scorsa settimana, una importante sentenza della Corte di giustizia europea ha di fatto demolito il presupposto su cui si basa: e cioè la definizione di Paese sicuro affibbiata al luogo di provenienza dei migranti a cui possono essere applicate le procedure accelerate di frontiera [...]. Insistere in un’operazione senza fondamento giuridico che costerà alle casse dello Stato quasi un miliardo di euro in cinque anni potrebbe provocare l’intervento della Corte dei Conti”, scrive ([link removed]) la giornalista Alessandra Ziniti su Repubblica.
2. Il Decreto Piantedosi al vaglio della Corte Costituzionale
La giudice del Tribunale di Brindisi, Roberta Marra, ha deciso di rimandare il Decreto Piantedosi alla Corte Costituzionale per valutarne la legittimità.
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“Nell’ambito di un giudizio sul ricorso avanzato dall’ong Sos Mediterranée [la giudice] ha deciso [...] di sollevare la questione di costituzionalità sul Dl 1/2023, che regola la gestione dei soccorsi in mare. La decisione è arrivata nell'ambito del procedimento contro il fermo della Ocean Viking, disposto il 9 febbraio a Brindisi dalla Guardia Costiera per presunte violazioni. I legali dell’ong, Francesca Cancellaro e Dario Belluccio, hanno quindi presentato una lunga memoria difensiva sull’incostituzionalità del decreto sostenendo che non può essere sanzionata una condotta che è finalizzata a salvare la vita di altri. E il tribunale ha deciso di rimettersi alla Consulta, che ora dovrà decidere”, scrive ([link removed]) la giornalista Eleonora Camilli su La Stampa.
E ancora: “in particolare, vengono contestati il principio di proporzionalità e ragionevolezza della sanzione, cioè del fermo di 20 giorni in caso di violazione da parte delle navi, e il principio di determinatezza, incrinato dal fatto che il decreto subordina l’accertamento della condotta illecita alle valutazioni delle autorità di uno Stato terzo, nel caso specifico la Libia”.
3. Non esiste alcuna “invasione di migranti irregolari”
Secondo una nuova ricerca ([link removed]) del progetto MirreM (Measuring Irregular Migration, progetto europeo ([link removed]) che analizza i flussi migratori) il numero di persone migranti “irregolari” che vivono nel Regno Unito e in altri grandi paesi europei non cambia da anni, nonostante il dibattito politico ostile sui migranti si basi ancora sul concetto di “invasione”.
“I ricercatori hanno scoperto che tra il 2016 e il 2023 vivevano tra 2,6 e 3,2 milioni di migranti irregolari in 12 paesi europei, tra cui il Regno Unito, che rappresentavano meno dell'1% della popolazione totale di questi paesi. Nel complesso, la popolazione di migranti irregolari nei paesi europei non sembra essere cambiata [...] dal 2008. Secondo il rapporto, il numero stimato di migranti irregolari nel Regno Unito, comprese vittime di tratta e migranti senza documenti, è compreso tra 594.000 e 745.000”, riporta ([link removed]) la giornalista Diane Taylor sul Guardian.
E ancora: “in cinque paesi, la stima della popolazione migrante irregolare è rimasta invariata: Belgio, Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti. In cinque paesi è diminuito: Finlandia, Grecia, Irlanda, Paesi Bassi e Polonia. Michele LeVoy, direttore della Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants, ha affermato che i nuovi dati potrebbero aiutare a progettare politiche per questo gruppo spesso difficile da raggiungere. La stima di quante persone vivono in una situazione irregolare in Europa deve essere utilizzata per progettare politiche inclusive che garantiscano l'accesso ai servizi pubblici per questa popolazione emarginata e che offrano loro percorsi per uscire dall'irregolarità [...]”.
4. L’Ue complice delle deportazioni in Afghanistan e Siria
L'Ue ha devoluto centinaia di milioni di euro a un sistema di deportazione poco trasparente che opera appena fuori dai suoi confini in Turchia. Risultato: molte persone rifugiate siriane e afghane sono state trattenute, abusate e persino uccise, secondo quanto si evince da una nuova indagine congiunta condotta, tra le altre, dalle testate giornalistiche Lighthouse Reports, L’Espresso, El Paìs, Le Monde.
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“Nell'ultimo decennio, milioni di rifugiati in fuga dalle persecuzioni del regime talebano e dalla guerra civile siriana in corso hanno cercato rifugio in Turchia. L'Ue ritiene che non sia sicuro deportare siriani e afghani nei loro paesi d'origine, ma rende la Turchia una zona cuscinetto per impedire loro di raggiungere l'Europa, in cambio di miliardi di euro. Negli ultimi anni, con l'economia turca in picchiata e il crescente sentimento anti-rifugiati, la Turchia ha intensificato gli sforzi per deportare i migranti. Centinaia di migliaia di siriani e afghani sono stati rimpatriati dalla Turchia. Ciò è stato reso possibile da una vasta infrastruttura di arresti, detenzione ed espulsione, uno dei più grandi sistemi di detenzione per migranti al mondo, costruito e finanziato dall'Ue”, si legge ([link removed]) su Lighthouse Reports.
Sono state intervistate oltre 100 persone, di cui 37 sono state detenute in 22 centri di espulsione finanziati dall’Ue: “Abdul Eyse, 28 anni, viveva legalmente in Turchia da quattro anni quando è stato arrestato per strada, imprigionato in un centro finanziato dall'Ue e costretto con la violenza a firmare un documento di "rimpatrio volontario". Poco dopo, è stato portato in Siria su un autobus con la bandiera dell'UE sventolata sopra, e lasciato lì”.
5. Il Regno Unito cerca di trasferire richiedenti asilo in Romania
L'Unhcr ha approvato la richiesta del Regno Unito di trasferire 36 richiedenti asilo dello Sri Lanka da Diego Garcia e dal Ruanda a un centro di transito in Romania.
“Le 36 persone fanno parte di un gruppo di 64 persone arrivate sulla remota isola dell'Oceano Indiano in barca, a partire da ottobre 2021, e che hanno cercato di chiedere asilo nel Regno Unito o altrove. L'isola fa parte del Territorio britannico dell'Oceano Indiano (BIOT), che il Regno Unito ha accettato all'inizio di questo mese di cedere a Mauritius dopo anni di negoziati”, scrive ([link removed]) il reporter Jacob Goldberg sul New Humanitarian. E ancora: “coloro che non accettano il rimpatrio o il trasferimento altrove saranno ammessi nel Regno Unito dopo sei mesi, secondo un documento depositato presso una corte britannica da avvocati che rappresentano alcuni dei richiedenti asilo. Tuttavia, gli avvocati stanno cercando di far sì che i loro clienti vengano trasferiti immediatamente nel Regno Unito [...]. Sei mesi di detenzione in Romania causeranno loro ulteriori danni evitabili, afferma il
documento del tribunale”.
Molti dei richiedenti asilo affermano di essere stati detenuti, torturati o abusati sessualmente dalle forze di sicurezza dello Sri Lanka a causa della loro etnia Tamil e dei presunti legami con i separatisti Tamil. Alcuni sono nati nei campi profughi in India e affermano di essere stati abusati dalle autorità locali.
6. I nostri nuovi articoli su Open Migration
Il naufragio di Lampedusa dell'ottobre del 2013 ha acceso un faro anche sulla mancata possibilità di riconoscimento delle persone vittime dei naufragi. Manal Hashash ha perso le sue quattro figlie e, a distanza di 11 anni, nonostante i tentativi fatti, non è riuscita ad avere indietro i loro corpi. In Italia, al momento esistono progetti sperimentali coordinati dal Commissario straordinario per le persone scomparse e dall’istituto Labanof di Milano, ma quello che servirebbe è un intervento statale che consenta anche di avere ampi strumenti a disposizione. Ce ne parla ([link removed]) Lidia Ginestra Giuffrida.
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