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Il doppio standard sul salvataggio in mare


Foto via Twitter/Sea Watch

Il naufragio di uno yacht al largo di Palermo ha fatto suscitare riflessioni sul comportamento dei media e delle autorità di frontiera - da un lato pronti a chiarire storie, nomi e vite dell’equipaggio, dall’altro pronte ad aggiornare costantemente sulle operazioni di salvataggio - quando ad annegare sono persone migranti. Nel frattempo, il Governo Meloni con i propri provvedimenti continua a irregolarizzare chi è regolare in territorio italiano.

1. Persone sullo yacht sì, persone migranti no

Il naufragio dello yacht al largo di Palermo, il cui equipaggio era composto prevalentemente da persone facoltose che lavorano nell’ambito della finanza e della tecnologia, ha fatto scaturire numerose riflessioni sul doppio standard applicato quando a dover essere soccorse sono le persone migranti, di cui raramente - o quasi mai - si conoscono nomi, storia, percorso e ragioni di partenza. Un frame narrativo che sembra valga solo per una certa categoria di persone.

“Ci sono naufraghi e naufraghi. Non sorprende l’emozione suscitata e la grande mobilitazione per trarre in salvo le persone (occidentali e benestanti) coinvolte nel naufragio del mega-yacht Bayesian, nave a vela di 56 metri di lunghezza, al largo di Porticello, 20 chilometri da Palermo”, scrive il sociologo Maurizio Ambrosini su Avvenire. E ancora: "sempre in mare si dovrebbe agire così, sempre si dovrebbe palpitare per la sorte dei naufraghi, sempre bisognerebbe ricoverare a terra gli scampati il più presto possibile. Purtroppo però queste basilari regole di umanità non valgono per tutti. Scaricabarile tra governi, incessanti tentativi di addossare l’onere dei soccorsi alle autorità dei paesi da cui salpano le imbarcazioni (Libia, Tunisia, Egitto, Turchia…), arrivando a ritardi, omissioni, disimpegno delle navi in transito. Monta sempre più l’indifferenza per la sorte delle persone che affrontano il mare per cercare asilo in Europa, e i loro naufragi fanno sempre meno notizia”.

Inoltre, come riporta il giornalista Sergio Scandura, non vi è alcuna differenza a livello di Diritto del mare (tra convenzioni internazionali e regolamenti europei) su chi debba essere salvato e chi no:


2. L’Onu: i fermi amministrativi contro le Ong sono illegittimi

Mary Lawlor, relatrice speciale Onu per i diritti umani ha affermato che le i fermi amministrativi rivolti alle Ong rappresentano una “restrizione al diritto alla libertà di associazione e di quello a promuovere e proteggere i diritti umani”.

“La relatrice speciale Lawlor, e gli altri due co-firmatari, hanno espresso preoccupazione per la possibile incompatibilità della norma nazionale e della strategia di assegnazione dei porti lontani con trattati e diritto del mare. In particolare con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) e la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (Solas), ma anche con le linee guida dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr). Quest’ultima, sottoscritta dall’Italia nel 1978, impone agli Stati un impegno proattivo a tutela della vita umana. «Proattività» che però, quando di mezzo ci sono i migranti, si è andata perdendo nel corso degli anni”, riporta il giornalista Giansandro Merli su Il Manifesto.


3. Come il Governo Meloni irregolarizza chi è regolare in Italia

Gli effetti negativi dei provvedimenti del c.d. Decreto Cutro emanato dal Governo Meloni iniziano ad emergere, creando di fatto maggior irregolarità. E’ il caso di Oussouman Ouro Daba di 24 anni, proveniente dal Togo e che vive in Italia ormai da 8 anni.

“Un contratto di lavoro a tempo indeterminato, un contratto di affitto regolare, l’italiano parlato (e anche scritto) con piena padronanza, mai nessun guaio con la legge”, riporta la giornalista Alessandra Ziniti su Repubblica che lo ha intervistato. “Ora, dopo otto anni che vivo e lavoro in Italia regolarmente mi dicono che il mio permesso non esiste più e mi vogliono mandare via. Ma vi pare possibile?”. Questo accade perché, spiega Daba, “il mio permesso di protezione speciale — mi hanno detto in questura — è scaduto e con la nuova legge non è più convertibile in permesso di lavoro”. E ancora: “L’avvocato mi ha dato delle speranze. Io trovo assurdo e ingiusto che persone come me, solo perché sono immigrate, debbano essere cacciate via. Tutta la mia vita è qui, a Ferrara, qui ho il mio lavoro stabile da cinque anni, ho la mia casa, i miei amici, mi sono perfettamente integrato e non ho mai né dato né avuto un problema. Qualcuno mi sa spiegare perché dovrei andarmene e dove? Di certo non posso né voglio tornare nel Togo. Non butterò via anni di dolore, fatica e sacrificio”.

La storia di Dabo è probabilmente quella di molte altre persone migranti il cui permesso per protezione speciale diventa carta straccia, lasciandole nel limbo dell’irregolarità e della vulnerabilità.

4. Un altro bracciante morto di sfruttamento

Si chiamava Dalvir Singh. Aveva 54 anni ed era un bracciante indiano che lavorava a Borgo Piave.

“Nel tardo pomeriggio di venerdì è morto mentre lavorava, probabilmente a causa di un malore dovuto al caldo e alla fatica, si è accasciato e non è stato possibile rianimarlo. A due mesi dal dramma di Satnam Singh e dalle proteste sindacali che ne se sono seguite, questa vicenda riporta il tema all'attenzione pubblica. Secondo  quanto ricostruito dai primi accertamenti dei carabinieri della stazione di Borgo Podgora - i contorni della vicenda però sono molto diversi rispetto al caso del 31enne, abbandonato quando ancora era vivo con un braccio amputato, per questo il suo datore di lavoro Lovato è finito in carcere”, si legge su Rai News. E ancora: “Sulla morte del bracciante indiano è stata aperta una indagine: bisognerà infatti capire se sono state rispettate le norme sulla sicurezza sul lavoro e se il bracciante ha effettuato i controlli sanitari obbligatori,  norme solitamente poco rispettate nel settore. Le verifiche sono state affidate ai carabinieri e al servizio di prevenzione e sicurezza della Asl di Latina”, riporta l’Unità.

Nel frattempo, sfruttamento e caporalato continuano a essere una costante nel campo agricolo: “Lavoravano fino a 512 ore al mese, senza ferie né permessi o riposi. E dovevano alloggiare, pagando perfino una quota che veniva decurtata dal misero stipendio, in strutture “precarie, degradanti e sovraffollate”. Un vero e proprio sfruttamento che ha riguardato oltre mille braccianti, per lo più migranti, tra il 2017 e il 2023. Ora, l’imprenditore per il quale hanno lavorato – indagato per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro – ha ricevuto il divieto di esercitare l’attività d’impresa, disposta dal giudice per le indagini preliminari di Lodi al termine dell’inchiesta condotta dalla Finanza con gli ispettori dell’Inps, coordinati dai pm Giulia Aragno e Aurora Stasi della procura lodigiana guidata da Maurizio Romanelli”, riporta Il Fatto Quotidiano.


5. Frontex: altri 400 milioni di euro per sorvegliare e criminalizzare le persone migranti

L'agenzia per le frontiere dell'UE, Frontex, ha indetto gare d'appalto per un totale di circa 400 milioni di euro, per attrezzature, tra cui l'acquisto di più droni e altre tecnologie di sorveglianza.  

“Le gare d'appalto includono: un bando per droni e servizi collegati per la sorveglianza marittima, del valore di 184 milioni di euro, un bando per apparecchiature di sorveglianza, tra cui visori notturni, del valore di 19 milioni di euro, un bando per servizi di tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) del valore di 186,5 milioni di euro, nonché un progetto pilota da 3 milioni di euro per droni alle frontiere terrestri, per operazioni congiunte con la Bulgaria . Una fattura per un totale di poco meno di 400 milioni di euro”, riportano i giornalisti Elisa Gkritsi e Magnus Lund Nielsen su Euractiv.

Ricordiamo tuttavia che: “L'uso dei droni da parte dell'agenzia di frontiera dell'UE è stato oggetto di esame nel 2022, quando le informazioni raccolte dai droni Frontex operanti da Malta  sono state utilizzate dalle autorità libiche per respingere le imbarcazioni di migranti nel Mediterraneo. Un rapporto di Human Rights Watch ha concluso che nel 2021 circa 10.000 persone sono state intercettate in mare dalle autorità libiche e rimpatriate forzatamente nel Paese grazie alle informazioni raccolte da Frontex”.


6. Il Niger tenta un nuovo modello per l’accoglienza di rifugiati mentre i nigeriani fuggono dagli attacchi dei banditi

Negli ultimi anni, più di 600.000 persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case nel nord-ovest della Nigeria, per sfuggire al banditismo armato e alla violenza discriminatoria basata sull'identità che ha traumatizzato una vasta regione e aggravato la fame nelle zone rurali.

“Gli uomini armati hanno causato sofferenze nelle zone rurali degli stati di Katsina, Sokoto e Zamfara [in Nigeria], uccidendo, stuprando, [...] e rubando bestiame, minando l'economia già fragile della regione. Tra il 2020 e il primo trimestre del 2024, sono state uccise almeno  6.600 persone e i banditi hanno preso il controllo di interi distretti . Queste bande, alcune delle quali sono formate da 1.000 uomini ben armati in motocicletta, saccheggiano a piacimento, impongono tasse alle comunità locali e costringono i contadini a lavorare come braccianti a contratto sulle terre che sequestrano”, riporta la giornalista Zubaida Baba Ibrahim sul New Humanitarian. Per questo, diverse persone tentano di spostarsi più a nord, oltrepassando il confine con il Niger, tentando di aspirare a una vita migliore, a partire da programmi di prima assistenza dell’Unhcr. 

“Nonostante l'investimento fatto negli Opportunity Village (programmi per l’autonomia delle persone rifugiate), riuscire a garantire l'indipendenza economica dei rifugiati è stato un compito arduo. Per i primi due anni, l'Unhcr ha fornito razioni di base, tra cui grano, olio vegetale e cibo per bambini, a ogni nucleo familiare nei villaggi, indipendentemente dal fatto che fossero rifugiati o nigerini [...].
 

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