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A Cutro tutte quelle morti si potevano evitare



Foto via Twitter/Sea Watch Italy

Mentre si concludono le indagini sul naufragio avvenuto lo scorso anno a Steccato di Cutro - con l’accusa di omicidio colposo plurimo per diversi ufficiali della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera - in cui persero la vita quasi 100 persone migranti in assenza di soccorsi, l’Ue continua a finanziare lautamente la Libia - con cifre da centinaia di milioni di euro - nonostante le ripetute violazioni dei diritti umani da parte di quest’ultima nei confronti delle persone migranti.
 

1. Strage di Cutro: le persone migranti potevano essere salvate, indagate guardia costiera e guardia di Finanza

Chiuse le indagini sulla strage di Cutro, in cui lo scorso anno - il 25 febbraio 2023 -, morirono 98 persone migranti, tra cui 35 bambini, senza ricevere alcun tipo di soccorso. La Summer Love, l’imbarcazione su cui viaggiavano, venne abbandonata nello Ionio con un mare forza 4, secondo quanto emerge dalle indagini della Procura di Crotone. 

“[...] Grave negligenza, imprudenza, imperizia, le pesanti valutazioni della Procura guidata da Giuseppe Capoccia che ipotizza i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo a carico di quattro uomini della Guardia di finanza, Giuseppe Grillo, Alberto Lippolis, Antonino Lopresti e Nicolino Vardaro, e per due della Guardia costiera, Nicola Nania e Francesca Perfido”, scrive la giornalista Alessandra Ziniti su Repubblica. E ancora: “Il naufragio che è costato la vita ad un centinaio di persone ( 35 erano i bambini) si poteva dunque evitare. Se solo - sostiene la Procura - la Guardia di finanza avesse monitorato il caicco e non avesse celato informazioni che avrebbero fatto scattare l’evento Sar e l’operazione di soccorso. L’inchiesta, condotta dal pm Pasquale Festa, individua precise responsabilità a livello operativo lasciando fuori quello politico a cui però si devono le decisioni che da anni, nella valutazione degli interventi su imbarcazioni di migranti, hanno ristretto quelli della guardia costiera ai casi di rischio imminente conclamato”.

Infine, come scrive il giornalista Fulvio Vassallo Paleologo su Il Manifesto, il problema non riguarda solo gli ufficiali coinvolti, ma l’aver trasformato le operazioni SAR (ricerca e soccorso) “in attività di immigrazione irregolare, se non “clandestina” e delle limitazioni dell’area operativa di intervento in acque internazionali della nostra Guardia costiera”. Ricordiamo che ciò è stato possibile a causa dei Decreti Sicurezza emanati da Salvini, come precedentemente riportato da Altreconomia.


2. Centinaia di milioni di euro alla Libia per fermare le migrazioni

Tra il 2014 e il 2020, l’Ue ha devoluto oltre mezzo miliardo di euro a Tripoli per le operazioni di esternalizzazione delle frontiere, con lo scopo di contrastare le migrazioni.

“Secondo quanto evidenzia il portavoce della Commissione, la Ue ha stanziato fra 2014 e 2020 un totale di 465 milioni di euro sotto il cappello del suo EU Emergency Trust Fund for Africa. Nel dettaglio, dice la Commissione, la metà dell’importo si è declinata nel supporto alla protezione di migranti e rifugiati, oltre a un terzo per la stabilizzazione delle comunità nelle municipalità libiche e azioni per il controllo della frontiera”, riporta il giornalista Alberto Magnani su Il Sole 24 Ore. E ancora: “Tra le iniziativa attivate compaiono programmi di rimpatrio dei migranti vulnerabili nel Paese d’origine e sostegno all’amministrazione della costa, lungo pacchetti di intese che ricalcano quelle siglate dai vertici comunitari con Tunisia (circa 1 miliardo di euro) ed Egitto (7,4 miliardi)”.

Infine: “secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), un’organizzazione legata all’Onu, le forze libiche hanno intercettato e riportato nel Paese oltre 15mila migranti solo tra gennaio e fine novembre 2023. Dopo il rientro in Libia, denuncia la Ong Human Rights Watch, hanno subito una detenzione arbitraria e indefinita, in condizioni inumane, presso strutture gestite dal governo di unità nazionale”.


3. L’abbandono delle persone migranti venezuelane

A metà giugno il governo degli Stati Uniti ha annunciato una nuova politica di confine che, sostanzialmente, blocca l'ingresso non regolamentato di persone migranti venezuelane e altre richiedenti asilo.

“Nel 2021, il governo colombiano ha introdotto un programma completo per supportare i migranti venezuelani, offrendo uno status migratorio legale e accesso a lavoro formale, istruzione, assistenza sanitaria e servizi finanziari per 10 anni. Tuttavia, dal 2023, il programma ha smesso di accettare nuove domande. Le recenti speranze per una nuova iniziativa simile sono state infrante quando il governo ha annunciato un programma più limitato, che concedeva lo status legale (della durata di soli due anni) solo ai genitori migranti venezuelani senza documenti di bambini con status legale. Questo cambiamento segnala un impegno ridotto da parte della Colombia nel supportare i migranti venezuelani, sollevando preoccupazioni dato che è il paese ospitante più grande per questi migranti e condivide un confine con il Venezuela”, riporta Dalton Price, fondatore e direttore esecutivo di Vamos Chamo, un'organizzazione no-profit che lavora per rendere la migrazione più sicura per i rifugiati venezuelani, sul New Humanitarian. E ancora: “altri paesi come Ecuador, Brasile e Cile offrono poche alternative ai migranti venezuelani, e ora Panama sta chiudendo  il Darién Gap, una pericolosa via nella giungla usata da molti, lasciando ai venezuelani ancora meno opzioni e di fatto bloccandoli in Sud America. Questa prospettiva è ulteriormente esacerbata dalla crescente xenofobia nella regione, che rende difficile l'integrazione e scoraggia i governi dal creare nuovi programmi legali per supportare i migranti”.

Le prospettive attuali sono davvero allarmanti. Mentre i paesi voltano sempre più le spalle alle persone migranti venezuelane per mitigare le preoccupazioni politiche interne e limitare i nuovi arrivi, “è necessario l'approccio opposto: una mobilitazione concertata per supportare questi migranti qualora si verificasse un simile esodo”.


4. In Germania c’è una legge che mette a rischio i diritti delle persone migranti senza documenti

In Germania, una legge del 1990 obbliga la maggior parte dei dipendenti del settore pubblico a denunciare le persone senza documenti alle autorità per l'immigrazione.

“L'articolo 87 della legge tedesca sulla residenza obbliga tutte le autorità pubbliche, compresi gli uffici di assistenza sociale, la polizia e i tribunali, a denunciare alle autorità di controllo dell'immigrazione le persone senza documenti con cui entrano in contatto. L'unica eccezione a questa regola è stata introdotta nel 2011 per le scuole e gli asili. Ciò che questo obbligo significa in pratica è che le persone senza documenti evitano qualsiasi contatto con le autorità pubbliche. Non vanno alla polizia per denunciare abusi o cercare giustizia in tribunale. Molti non vanno nemmeno dal medico o finiscono per cercare assistenza solo in situazioni di pericolo di vita”, riporta Picum, ong che si occupa della tutela delle persone migranti prive di documenti. “secondo l'Asylum Seekers Benefits Act, le persone migranti senza documenti hanno diritto a servizi medici limitati in caso di malattie acute o condizioni dolorose, nonché durante la gravidanza e il parto. I medici non sono obbligati a denunciare i pazienti senza documenti perché non sono dipendenti pubblici (il sistema sanitario tedesco si basa su assicurazioni private) e pertanto non sono coperti dal Residence Act [...]. Ma ci sono stati casi in cui il personale ospedaliero ha comunque segnalato pazienti privi di documenti”.

Gli attivisti e i sostenitori combattono questa legge da anni. Nel 2011 sono riusciti a ricavare un'eccezione per scuole e asili. Dal 2021, una coalizione guidata da Doctors of the World e dalla Gesellschaft für Freiheitsrechte sta conducendo una campagna contro il paragrafo 87 del Residence Act per consentire alle persone senza documenti di accedere all'assistenza sanitaria senza rischiare l'applicazione delle sanzioni per l'immigrazione.


5. 156 persone migranti sono state soccorse nel Mediterraneo

La Sea-Watch 5 ha soccorso 156 persone - tra cui 37 donne e 43 bambini - che si trovavano a bordo di due imbarcazioni nel Mediterraneo. “Entrambe avevano persone sottocoperta, dove i fumi del motore e la mancanza di ossigeno rappresentano un grave pericolo", ha scritto la stessa Ong su X. Diverse di loro sono state intossicate e stanno ora ricevendo ossigeno", riporta la giornalista Giulia Casula su Fanpage.

Ancora una volta, il governo ha assegnato un porto molto lontano per lo sbarco, prolungando quindi la sofferenza delle persone a bordo, costrette a navigare fino al porto di La Spezia.

“È pronta a mobilitarsi la macchina della Croce Rossa della Spezia in vista dell'arrivo in porto, previsto per [oggi, lunedì], della nave Sea Wach 5, che trasporta 156 migranti. Nelle attività logistiche e di assistenza sanitaria saranno coinvolti in totale 50 operatori della Croce Rossa della Spezia, di Levanto e di Riccò del Golfo”, riporta l’Ansa.


6. Italia e Germania in tribunale. Discriminano lavoratori e lavoratrici migranti

La Commissione europea ha dichiarato che darà avvio a un'azione legale contro Germania e Italia, accusando entrambi i paesi di discriminare le persone immigrate in Ue in materia di sicurezza sociale.

“Rispettivamente nel 2018 e nel 2022, lo stato tedesco della Baviera e l'Italia hanno approvato leggi che riducono l'importo degli assegni familiari versati ai lavoratori mobili, termine che si riferisce ai cittadini dell'Ue che lavorano in un paese di cui non sono cittadini. Di conseguenza, la Commissione ha deferito l’Italia e la Germania alla Corte di Giustizia Europea (Cgue), definendo tali misure “discriminatorie”, scrive il giornalista Seb Starcevic su Politico. E ancora: “Uno dei principi fondamentali dell'Ue è che le persone siano trattate equamente, senza alcuna distinzione basata sulla nazionalità", ha affermato la Commissione in una nota. I lavoratori mobili dell'Ue che contribuiscono allo stesso modo al sistema di sicurezza sociale e pagano le stesse tasse dei lavoratori locali hanno diritto alle stesse prestazioni di sicurezza sociale. In Italia, i lavoratori che non risiedono nel Paese da due anni o i cui figli non risiedono lì non hanno diritto agli assegni familiari, mentre in Baviera, i lavoratori i cui figli vivono in un Paese membro dell'Ue con un costo della vita inferiore rispetto alla Baviera, ricevono un importo ridotto”.

La Commissione ha affermato di aver già scritto alla Germania e all'Italia per esprimere le proprie preoccupazioni, ma di non aver ricevuto una risposta soddisfacente.



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