| Cronache dal Fronte Liberista |
Uno spettro si aggira per l'Europa: ma stavolta lo abbiamo evocato da soli! Nella nuova puntata delle Cronache dal Fronte Liberista, Serena Sileoni, Carlo Amenta e Carlo Stagnaro affrontano i temi della settimana a partire dalla questione dei dazi sull'importazione delle auto elettriche cinesi.
Alla faccia del dazio! (e degli obiettivi della transizione energetica)
La Commissione europea uscente ha motivato l'aumento dei dazi per le aziende dell'automotive elettrico cinese con la volontà di controbilanciare l'effetto dei sussidi elargiti da Pechino. In assenza di evidenze sui vantaggi per le aziende o per lo stesso mercato europeo di simili misure si può dire che si tratta di scelte di natura politica. La competitività cinese, in questo settore, deriva infatti più dal livello di avanzamento tecnologico del paese del dragone che dai sussidi. Inoltre, gli obiettivi di transizione energetica, oramai cardine della politica europea e di cui la mobilità elettrica rappresenta un pilastro, non potrebbero che giovarsi della disponibilità sul mercato di auto elettriche a prezzi minori di quelli correnti. La domanda da porre alla futura Commissione europea è dunque la seguente: per andare dove dobbiamo andare, che direzione dobbiamo prendere?
Servizi pubblici locali: la storia infinita
Una recente delibera della Corte dei conti analizza le società che gestiscono i servizi pubblici locali. Emerge che nel 2021 il 91,7% degli affidamenti sono stati realizzati senza gara, nonostante il requisito - già in vigore - per cui le amministrazioni sono tenute a giustificare l'affidamento in-house dei servizi. È ciò che è successo per il caso ATAC, finito davanti al TAR, che giudicherà le motivazioni dell'amministrazione romana sul piano della convenienza, degli standard di qualità e della sostenibilità economica.
Risorse umane e capacità per valutare la correttezza dei criteri sono i più grandi scogli oggettivi alla realizzazione delle riforme. Eppure, qualcosa si muove - a differenza di ATAC.
Oddio, signor ministro... una querela?
La realtà talvolta supera la fantasia, ed è il caso della mediazione giudiziale richiesta dal ministro Adolfo Urso, che ha coinvolto Luciano Capone e Annarita Digiorgio per il soprannome utilizzato dai due giornalisti in vari articoli di critica alle politiche promosse dal Ministero del Made in Italy. Per quanto il riferimento all'Unione Sovietica non costituisca in sé un insulto, in questo caso può essere tuttalpiù rilevante il riconoscimento della chiara direzione delle politiche perorate dal governo, dettagliate dallo stesso Capone su Il Foglio. Ma se lo stesso Urso ha ammesso sulle pagine del Corriere la nostalgia per il nonno comunista suscitata dal soprannome, risulta alquanto incomprensibile la decisione di affidare alle vie legali una simile controversia. Che vi sia una qualche differenza d'interpretazione sugli effetti delle politiche sovietiche?
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