Razzismo sistemico e respingimenti
Foto via Twitter/Maghreb Insider
Mentre si intensificano le politiche migratorie violente, razziste e di espulsione del presidente tunisino Kais Saied, il sistema di accoglienza in Italia continua a mancare di prospettiva e pianificazione adeguati. A Bologna una famiglia senegalese viene aggredita con insulti razzisti.
1. Aumenta la xenofobia in Tunisia
Crescono le espulsioni e le discriminazioni sistematiche nei confronti delle persone nere in Tunisia, sia migranti che cittadine tunisine.
Nelle ultime due settimane ci sono stati rastrellamenti da parte della polizia tunisina ai danni di persone afrodiscendenti nere: “tutte le persone dalla pelle scura, anche quelle identificate come tunisine, vengono stipate nei furgoni della polizia e deportate nelle regioni di confine orientali. Donne, uomini e bambini vengono catturati e deportati senza i loro averi, documenti, risparmi e altri materiali per i quali hanno lavorato e accumulato nel corso degli anni”, denuncia l'associazione Refugees in Libya. E ancora: “la Tunisia ha espulso circa 400 persone migranti dell'Africa subsahariana dal suo confine orientale [...]. [Il presidente] Saied ha ribadito che esisteva un “complotto per reinsediare questi migranti in Tunisia” e ha accusato alcuni soggetti, senza fornire dettagli, di aver ricevuto milioni di euro e dollari per realizzare il piano”, riporta la giornalista Ghaya Ben Mbarek su The National News. Nel frattempo il governo tunisino si scaglia anche contro attiviste e avvocate: una è stata Saadia Mosbah, attivista tunisina che lavora nell’ambito dell’antidiscriminazione dirigendo l’associazione Mnemty; l’altra è l’avvocata Sonia Dahmani, la cui “colpa” sarebbe stata quella di criticare le politiche migratorie repressive e violente di Saied.
Ricordiamo infine che è in corso un’indagine avviata dal Mediatore UE sulla legittimità dell’accordo Ue-Tunisia volto a fermare le migrazioni, in virtù delle crescenti denunce sulla violazione di diritti umani.
2. L’accoglienza in Italia è senza una prospettiva
Il governo Meloni continua ad adottare un approccio emergenziale sulle migrazioni, peggiorando il sistema di accoglienza. Un approccio che non appare giustificato dai numeri, la migrazione infatti è un fenomeno strutturale e per amministrarlo in modo virtuoso bisognerebbe innanzitutto conoscerlo.
“Nel 2023 infatti le presenze nel sistema di accoglienza hanno raggiunto un picco di 141 mila persone. Rispetto all’anno precedente è stato quindi necessario reperire tra i 20 e i 30 mila posti, così come già avvenuto tra 2021 e 2022. Proprio per questo originariamente la legge aveva previsto di affiancare al sistema ordinario (oggi noto come sistema di accoglienza e integrazione – Sai) i centri di accoglienza straordinaria (Cas) attivabili dalle prefetture, anche con procedure d’urgenza. La logica vorrebbe quindi che il Sai copra gran parte delle necessità lasciando a un sistema più elastico, quello dei Cas, il compito di gestire le variazioni più repentine. Negli anni però questa impostazione formale è stata continuamente smentita dai fatti. A fine 2022 infatti il sistema di accoglienza ordinario copriva appena il 35,7% dei posti”, riporta Openpolis in una nuova indagine.
E ancora: “dalle nostre analisi [...] emerge un quadro differenziato tra città e aree interne, così come tra le diverse province. Da un punto di vista nazionale, ad esempio, le persone in accoglienza rappresentano circa lo 0,18% della popolazione residente in Italia. Un dato distante dalla cosiddetta “invasione” di cui si sente parlare, che comunque varia a seconda dei territori. Così se le regioni del Mezzogiorno e del nord-ovest si pongono al di sotto della media (0,17%), il centro si trova in linea con il dato nazionale, mentre nel nord-est la quota di persone accolte rispetto ai residenti è più alta (0,21%)”.
3. L’Italia blocca i velivoli delle Ong
L’Enac (l’ente nazionale per l’aviazione civile) ha emesso un’ordinanza per bloccare i velivoli delle Ong che si occupano di intercettare le imbarcazioni in pericolo, in modo particolare a Lampedusa.
“Secondo l’ong tedesca Sea Watch questa strana ordinanza, emanata a un mese dalle elezioni europee, punta a fermare proprio i velivoli dell’organizzazione che fanno base sull’isola siciliana”, riporta la giornalista Eleonora Camilli su La Stampa. “Lo scopo è bloccare i nostri aerei di ricognizione, ovvero gli unici occhi della società civile nel Mediterraneo. Occhi fondamentali per documentare le quotidiane violazioni dei diritti umani che vi avvengono, comprese quelle perpetrate dalla cosiddetta Guardia costiera libica, attraverso motovedette e risorse, generosamente elargite dal governo italiano”, commenta la Ong Sea Watch che in ogni caso assicura che le operazioni non si fermeranno “a costo di mettere in pericolo i nostri aerei”.
“Questo attacco, che calpesta il diritto internazionale, non ci impedirà di dare fastidio a chi vorrebbe che quanto avviene nel Mediterraneo rimanesse segreto”, afferma Sea Watch.
4. L’Ungheria viola il diritto UE all’asilo
Il governo ungherese ha reso praticamente impossibile per le persone in cerca di protezione di poter chiedere asilo in Ungheria, esternalizzando il proprio sistema di asilo e bloccandone l’accesso.
“Dal 2015, quando quasi 1,3 milioni di persone hanno chiesto protezione internazionale negli Stati membri dell’UE, si è verificata un’impennata della retorica anti-immigrazione da parte del governo ungherese. Ciò ha coinciso con un aumento dei rimpatri forzati alla frontiera, nonché con un deterioramento delle tutele legali, come documentato dal Comitato Helsinki ungherese, un’organizzazione per i diritti umani con sede a Budapest”, si legge su Info Migrants. E ancora: “Aniko Bakonyi, del Comitato Helsinki ungherese, sottolinea che il 2015 non è stato solo un punto di svolta per l'intero blocco Ue, ma anche per la distruzione volontaria del sistema di asilo ungherese. Dal 2015 la legislazione è diventata sempre più proibitiva. Ora, il sistema di asilo ungherese è sostanzialmente inaccessibile, afferma Bakonyi. Ma, cosa ancora più importante, esiste anche una legislazione che impedisce alle persone di entrare effettivamente in Ungheria e chiedere asilo, aggiunge”.
Infine, “dal 2016, l’Ungheria ha applicato misure di respingimento che consentono alla polizia di deportare gli persone straniere prive di documentazione valida direttamente in Serbia. L’Helsinki Commitee riferisce che queste deportazioni avvengono senza garantire agli individui un'udienza o l'opportunità di chiedere asilo, e non viene emessa alcuna decisione formale sull'espulsione”.
5. Aggressione razzista a Bologna nei confronti di una famiglia senegalese
Botte, spintoni e insulti razzisti nei confronti di una famiglia senegalese di Bologna.
“Tornatevene a casa vostra, n***i di m***a. Questo hanno dovuto subire Nabu Dieng e la sua famiglia, tutti originari del Senegal ma in Italia da tanti anni: 25 lei, 36 invece il suo compagno. Insieme a loro, i due figli di 9 e 18 anni, nati in Italia, finiti al pronto soccorso per le ferite riportate durante l’attacco”, riporta Bologna Today. “La famiglia aveva appuntamento con degli amici per una festa di compleanno, e avevano raggiunto dei connazionali a un circolo in via Bentini, zona Corticella. Nel tragitto tra il parcheggio e l’ingresso del locale passano davanti a un bar dove Nabu nota due cani sciolti e degli avventori che stanno bevendo seduti ai tavoli. Alla normale richiesta di legare gli animali, di cui Nabu ha paura, alcune persone (“almeno nove”, racconta la donna) alla donna e al suo compagno è stato risposto: “Se avete paura dei cani, tornatevene a casa vostra”.
In seguito all’aggressione, attivisti e solidali hanno risposto con un presidio antirazzista in solidarietà con la famiglia, mentre il sindaco Matteo Lepore l’ha accolta al comune per esprimere vicinanza: “Facciamo tantissimo [per il] sociale qui a Bologna, ricorda la donna, prima di intervenire durante al presidio, a cui hanno preso parte numerose realtà locali, movimenti e collettivi, oltre ad esponenti dell'amministrazione comunale”, riporta Beppe Facchini che ha intervistato Dieng, su Fanpage. E ancora: “È veramente una cosa che dobbiamo fermare. Dobbiamo denunciare -conclude- e speriamo che il presidio di oggi serva a qualcosa. Perché siamo nel 2024 e queste cose non si devono più sentire”.
6. Il colpo di stato in Niger, cambia i rapporti con l’Ue sulle migrazioni
Subito dopo il colpo di stato, il nuovo governo ha espulso i soldati francesi dal paese, ha abrogato una legge del 2015 che era stata una pietra angolare degli sforzi dell’Ue per frenare l’immigrazione, e ha poi annullato due missioni dell’Ue che lavoravano con le forze di sicurezza nigerine su una serie di questioni, tra cui la lotta a jihadisti e fermare il movimento di persone dall’Africa occidentale verso l’Europa.
“Nella città di Agadez, nel nord del Niger, – da tempo punto di passaggio per richiedenti asilo e migranti che sperano di raggiungere il Nord Africa e l'Europa – l'abrogazione dello scorso novembre della legge sull'immigrazione del 2015 sta avendo un effetto tangibile”, riporta la giornalista Sophie Douce sul New Humanitarian. E ancora: “poco dopo la sua entrata in vigore, l'Ue ha attribuito alla legge sull'immigrazione del Niger il merito di aver ridotto il numero di persone in transito attraverso il paese verso il Nord Africa. Ma la migrazione attraverso Agadez non si è mai fermata del tutto. Gli europei si “agitano”, ma il Niger è sempre stato un paese di transito. Spetta ai paesi di destinazione gestire i flussi, non a noi, ha detto a The New Humanitarian un consigliere del leader militare del Niger Abdourahamane Tiani”.
ll Niger fa parte della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS), un'unione regionale che ha un accordo di libera circolazione per i membri simile alla zona Schengen. Chiunque dei 15 stati membri poteva recarsi ad Agadez senza dover richiedere il visto. Da lì è nata un’intera industria – con persone che fornivano alloggio, cibo, forniture e trasporti – per portare le persone al confine libico. La legge sull’immigrazione del 2015 ha reso tutto ciò illegale, causando profonde frustrazioni economiche tra coloro che si guadagnavano da vivere contribuendo a facilitare la migrazione. “Per noi non si può parlaredi tratta. Lavoriamo come qualsiasi agenzia di viaggi. I migranti pagano i loro biglietti; abbiamo degli itinerari”, ha affermato Bachir Amma, presidente di un’associazione di persone che lavorano nel settore della migrazione. “Da un giorno all’altro ci è stato detto che era proibito. Molti hanno perso il lavoro”.
Il team di Open Migration
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