Mentre nel mondo cresce l’allarme che l’epidemia possa diffondersi nei tanti campi profughi, a Roma si teme per la salute degli occupanti del Selam Palace un luogo troppo spesso ignorato e lasciato alle cure dei soli volontari.
1. A Roma zona rossa in un palazzo occupato da rifugiati
Il Selam Palace, l'occupazione alla Romanina che dal 2006 è abitata da almeno 400 persone titolari di protezione internazionale, è diventata la prima area rossa di Roma: da ieri l'esercito ha circondato l'immobile e su ordine della prefettura non si esce e non si entra più.
Scrive su Repubblica Lorenzo D’Albergo che fuori dal palazzo - dove nei giorni scorso si era recato in visita l’elemosiniere del papa Konrad Krajewski - “la Protezione civile ha allestito una tenda per permettere ai medici della Asl Roma 2 di monitorare la temperatura dei residenti e di effettuare i tamponi su quelli che presentanti”.
In un primo momento, infatti, si era temuto per la diffusione del contagio da coronavirus, poi la smentita dell'assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D'Amato: “le due persone provenienti dal Selam Palace che ieri si sono recate presso il Covid Hospital di Tor Vergata per sottoporsi al tampone sono risultate negative”.
Ma mentre la tensione resta alta, monta la preoccupazione per le centinaia di persone che a Roma vivono in strada. Proprio questa settimana su Open Migration Daniela Sala ci aveva raccontato le loro storie e l’emergenza nell’emergenza di chi una casa non ce l’ha. Per loro scrive Eleonora Camilli su Redattore Sociale il rischio di contagio resta altissimo.
In questo approfondimento di Claudia Torrisi su Valigia Blu, il perché è fondamentale proteggere i diritti e la salute di migranti e rifugiati.
2. Nemmeno l’emergenza ferma la propaganda sulla pelle dei migranti
La giunta di Nettuno, provincia di Roma, è scesa in piazza per protestare contro l’accoglienza di 50 migranti, convincendo la prefettura a cancellare il trasferimento.
I migranti si trovavano in un centro di accoglienza a Roma e il trasferimento si era reso necessario per scongiurare la diffusione del virus all’interno della struttura.
Scrive il Post che “Dopo avere saputo del trasferimento, il sindaco di Nettuno Alessandro Coppola ha protestato fuori dal centro di accoglienza insieme ad alcuni assessori e consiglieri del centrodestra, minacciando di bloccare l’arrivo dei migranti (violando così le restrizioni sugli spostamenti per via del coronavirus)".
A Roma invece il Comune aveva individuato in una palestra in disuso vicino la Stazione Tiburtina il ricovero per senzatetto e migranti costretti in strada, l’opposizione in questo caso arriva dal dal II Municipio in cui si trova la struttura. Maggioranza e opposizione rispondono con un secco no al Comune.
3. Aggiornamenti dal fronte cpr
Quello appena trascorso è stato un weekend di proteste nei Centri di permanenza per i rimpatri. Scrive Giansandro Merli su il Manifesto che “la più dura si è verificata domenica notte nella struttura di Gradisca d’Isonzo, in Friuli Venezia-Giulia. Le persone recluse hanno incendiato materassi e arredi in più occasioni per denunciare la mancanza di misure anti-contagio e chiedere di essere liberate”.
Mentre la tensione resta alta, la Coalizione Italiana libertà e diritti civili ha deciso di scrivere agli ordini degli avvocati: “Crediamo che monitorare le decisioni di convalida dei trattenimenti e delle proroghe nei Cpr e sollecitare gli avvocati d’ufficio a chiedere la non convalida, sia di fondamentale importanza in un momento in cui è impossibile eseguire le espulsioni.”
Intanto il Viminale prende le prime misure anti contagio: i migranti restino nei centri anche senza titolo.
4. Un nuovo accordo sui migranti stagionali?
Da un lato il timore per la salute dei braccianti stranieri, dal'altra quella degli agricoltori che temono di rimanere senza manodopera.
La ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova - secondo quanto riportato il Sole24Ore - “lunedì ha incontrato l’ambasciatore rumeno in Italia, George Bologan, con l’obiettivo di firmare presto un’intesa tra i due Paesi: dalla Romania arriva un terzo della manodopera agricola stagionale in Italia e senza di loro la raccolta di frutta e verdura nelle campagne italiane sta subendo un contraccolpo pesantissimo”.
Per la ministra questo resta “un problema da scongiurare, se non vogliamo trovarci ad affrontare anche un’emergenza alimentare”.
5. Preoccupa la situazione nei campi profughi
“Una fonte d'acqua ogni 250 persone. Una doccia ogni 500 profughi. Meno di 4 metri a testa per poter stare al mondo”. Su Avvenire, Nello Scavo ci ricorda i numeri dell’emergenza Coronavirus dallo Yemen al Bangladesh, passando per la Siria e per il Sud Sudan, terre dimenticate dove il Coronavirus potrebbe fare più morti della guerra.
Numeri non troppo distanti da quelli che si possono incontrare nel campo profughi di Moria sull’isola di Lesbo. Helena Smith sul Guardian ci aggiorna sulla critica situazione della Grecia, mentre monta la preoccupazione per le oltre 36 mila persone bloccate sulle isole greche davanti la Turchia.
Proprio dalle isole di Lesbo e Chios arrivano i bambini che, la prossima settimana, atterreranno in Lussemburgo. Primo gruppo ad essere evacuato ed accolto in Europa come risposta all’emergenza.
6. In Libia si teme per la diffusione del Covid-19
“Insieme al conflitto in corso, la diffusione del Covid19, se non contenuta, potrebbe causare in Libia una catastrofe umanitaria” avverte Jean-Paul Cavalieri, Capo missione Unhcr in Libia.
L’agenzia per i rifugiati ricostruisce come da aprile scorso siano più di 300 i civili rimasti uccisi, mentre si stimano intorno alle 150mila quelli costretti alla fuga. “Nonostante l’accordo provvisorio di tregua umanitaria - prosegue la nota - nell’arco dell’ultima settimana gli scontri si sono intensificati in modo significativo”.
Cade quindi nel vuoto l’appello del Segretario Guterres per un cessate il fuoco globale, mentre il proseguire del conflitto, una sanità al collasso e la quasi totale assenza di servizi fanno temere il peggio sul fronte Coronavirus.
7. La nave Alan Kurdi soccorre 150 persone in difficoltà
Continuano intanto i soccorsi nel Mediterraneo. La nave Alan Kurdi della ong Sea-eye ha salvato 150 migranti che si trovavano a bordo di due barche al largo della Libia dopo che questi erano riusciti a mettersi in contatto con Alarm Phone.
L’Alan Kurdi è l'unica nave di salvataggio rimasta nella regione in questo momento, mentre l'emergenza coronavirus sta causando ulteriore difficoltà nell’individuare un porto di sbarco.Ricostruisce Fabio Albanese sulla Stampa che “sia l’Italia sia Malta nei giorni scorsi avevano avvertito la Germania, paese di bandiera della nave e della Ong Sea-eye che la gestisce, che non avrebbero potuto collaborare in caso di operazioni di salvataggio della nave umanitaria a causa dell’emergenza sanitaria in corso nei due Paesi, nemmeno per un immediato ricollocamento dei migranti.”
Intanto a Lampedusa continuano gli sbarchi autonomi: sono arrivati in 34, di cui 11 donne.
8. Continuano i tentativi di scavalcare il confine tra Spagna e Marocco a Melilla
Lunedì scorso, circa 260 persone hanno cercato di scavalcare le alte recinzioni lungo il confine tra l’enclave spagnola di Melilla e il Marocco. Secondo la polizia spagnola, in 53 sarebbero riusciti a passare. Infomigrants riporta numerosi casi di feriti tra i migranti, almeno quattro di loro sarebbero stati trasferiti in un ospedale con possibili fratture.
9. La Corte di Giustizia Ue condanna Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca
“Rifiutando di conformarsi al meccanismo temporaneo di ricollocazione dei richiedenti asilo creato nel 2015, la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica ceca sono venute meno agli obblighi definiti dal diritto dell’Unione”. Lo ha stabilito lo scorso giovedì la Corte di giustizia dell’Unione Europea, che ha accolto i ricorsi per inadempimento presentati dalla Commissione europea. I tre Stati membri sono venuti meno agli obblighi relativi al ricollocamento di richiedenti asilo dalla Grecia e dall’Italia.
10. Da sfruttati a cooperativa di successo: la bella storia di Barikamà
Chiudiamo con una bella storia che arriva da Roma. Dopo aver conosciuto lo sfruttamento alcuni braccianti decidono di mettersi in proprio e iniziano a produrre yogurt e verdura, nasce così la cooperativa Barikamà. Dal quartiere romano del Pigneto Dario Antonelli e Giacomo Sini, raccontano la loro storia.
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Il team di Open Migration