Ancora esternalizzazioni sulla pelle delle persone migranti
Foto via Twitter/Reuters
Mentre l'Ue sigla l'ennesimo accordo con l'Egitto per fermare le migrazioni a discapito dei diritti fondamentali delle persone migranti, il razzismo sistemico in Italia continua a colpire le persone straniere e razzializzate.
1. Ue in Egitto: nuovi accordi sulla pelle di chi migra
L’Unione Europea - durante un meeting tenutosi al Cairo in cui, oltre alla presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, erano presenti il cancelliere austriaco Karl Nehammer, il presidente cipriota Nikos Christodoulides, il primo ministro belga Alexander De Croo e l’omologo greco Kyriakos Mītsotakīsera e la presidente Giorgia Meloni - ha annunciato un pacchetto di aiuti da 7,4 miliardi di euro per l’Egitto.
“Le due parti hanno promosso la loro cooperazione al livello di un partenariato strategico e globale, aprendo la strada all’espansione della cooperazione Egitto-Ue in vari settori economici e non [...]. L'Ue fornirà assistenza al governo egiziano per fortificare i suoi confini, in particolare con la Libia, un importante punto di transito per i migranti in fuga dalla povertà e dai conflitti in Africa e in Medio Oriente, e sosterrà il governo nell'ospitare i sudanesi fuggiti da quasi un anno di combattimenti tra generali rivali nel loro paese”, si legge su Euronews. Di questo pacchetto, riporta Al Jazeera, 200 milioni di euro saranno destinati alla gestione delle migrazioni. Come ricorda la giurista Vitalba Azzollini, tali accordi non sono altro che un modo per i Paesi Ue di evitare una violazione diretta dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra per cui i respingimenti sono illegali, delegando il compito di respingere o di “riprendere” le persone migranti a stati terzi (dove però il rispetto dei diritti umani è assente):
Anche Emergency ha commentato l’accordo Ue-Egitto, un copione già visto sulla pelle delle persone migranti:
2. A Roma si è costretti a dormire in strada per chiedere asilo
Sono centinaia le persone ammassate di fronte alla questura di Via Patini a Roma. “Almeno da fine ottobre 2023, dicono le testimonianze degli operatori. Così è partita un’azione legale collettiva da parte di sette associazioni e 14 cittadini e cittadine stranieri tra cui alcuni minori. “È una condotta discriminatoria””, riporta la giornalista Cecilia Ferrara su Altreconomia.
“Prima nessuno dormiva lì, davano 50 o 60 numeri e la fila scorreva - racconta John Torres, operatore per l’Unione sindacale di base (Usb) – ultimamente invece ho accompagnato per due notti due donne peruviane, madre e figlia, in fuga da un marito violento. La prima notte sono arrivate verso le 4 di notte e non ce l’hanno fatta, la seconda sono arrivate a mezzanotte e c’erano già 80 persone prima di loro”. Ormai la situazione è sempre più drammatica: chi lascia i cartoni la sera per tenere il posto mentre va a mangiare qualcosa, chi si costruisce delle tende di fortuna, con pali e coperture. Mentre la mattina alle 8, 8.30, appare un funzionario della questura che distribuisce dei pezzetti di carta senza tenere alcun conto della fila”.
Con i casi in aumento di persone che si sono rivolte ad avvocati per chiedere aiuto, “è partita un’azione collettiva da parte di sette associazioni (Arci, Libellula Italia, A buon diritto, Asgi, Spazi circolari, Ass. Progetto Diritti, Nonna Roma, Cild e Baobab) e 14 cittadini e cittadine stranieri tra cui alcuni minori [...]. Abbiamo presentato un ricorso collettivo al tribunale civile di Roma per chiedere innanzitutto che venga dichiarato il carattere discriminatorio della condotta della Questura, ossia del fatto che in modo totalmente arbitrario, e fuori da qualsiasi legge italiana ed europea, la questura decide chi può accedere al diritto di asilo e chi no”, spiega l’avvocata Giulia Crescini dell’Asgi.
3. Un sondaggio rivela la percezione del razzismo nei confronti degli africani in Italia
La sezione italiana della Ong per lo sviluppo sanitario Amref ha presentato l'indagine “Africa e Salute: l'opinione degli italiani”, condotta dall'istituto di ricerche Ipsos.
“Secondo sette italiani su dieci, in Italia, gli africani sono soggetti ad episodi di razzismo e discriminazione molto spesso (per il 22%) o abbastanza spesso (per il 48%)”, si legge su Amref. L'indagine è stata condotta a svolta ad ottobre 2023, su un campione rappresentativo di 800 persone. "Prendiamo atto che spesso, nostro malgrado, il linguaggio, addirittura lo sguardo vanno a consolidare un razzismo sistemico, che pervade il nostro Paese" afferma Roberta Rughetti, Vicedirettrice di Amref Italia "dobbiamo rimuovere insieme quegli ostacoli che spingono le persone razzializzate e gli afrodiscendenti verso una marginalizzazione, che ha effetti sia nella sfera privata, che in quella sociale”. E ancora: “nell'indagine di Ipsos per Amref, nel capitolo "L'Africa in Italia", si rileva che solo un italiano su dieci (11%) ha la percezione corretta di quanti siano gli africani residenti oggi in Italia (circa 1,2 milioni). Il 71% del campione ne sottostima la presenza e il restante 18% la sovrastima. Se però chiediamo su 100 cittadini stranieri quanti sono africani, è un italiano su tre (34%) a sovrastimarne la presenza e solo il 7% dà la risposta esatta (tra 20 e 25)”.
Infine: “al di là del numero esatto, il 53% dei rispondenti dichiara che i cittadini africani residenti in Italia sono comunque troppi e non sempre amalgamati con gli italiani. Un ulteriore 53% li considera poco o per nulla integrati nel nostro Paese. Cosa preclude questa integrazione? Come nel 2021, la prima causa (41%) risiede nel fatto che "le imprese italiane vedono gli immigrati africani solo come manodopera a basso costo. Segue al secondo posto "la scarsa voglia di accettare gli usi e le consuetudini italiane da parte degli africani (31%)", poi il fatto che "in Italia non ci sono adeguati programmi di integrazione (30%)". Il 16% ritiene che un ostacolo all'integrazione sia che "gli italiani sono razzisti".
4. La cittadinanza negata a chi partecipa a manifestazioni
Sempre più ostacoli e ingiustizie per i figli di persone straniere che nascono, crescono o vivono in Italia da decenni. Ora lo stato respinge le richieste di coloro che hanno partecipato a manifestazioni o proteste. “Basta una segnalazione della Digos e dei servizi, senza reati, per respingere la richiesta di un cittadino straniero. In tre anni sono 600 coloro che sono stati considerati ‘potenzialmente pericolosi’”, riportano Marika Ikonomu e Gaetano di Monte su Domani.
E’ il caso di Karim (nome di fantasia) di 31 anni, nato in Marocco e che vive da 15 anni a Verona. “Karim ha raccontato a Domani di aver presentato la domanda di cittadinanza per naturalizzazione, avendone i requisiti, nel febbraio 2019. L’uomo è arrivato in Italia con la famiglia nel 2008, quando aveva 15 anni, e ha ottenuto prima un diploma di scuola superiore e poi la laurea nel 2021. Nel frattempo ha partecipato attivamente a progetti formativi all’interno dell’istituto, ed è stato rappresentante della sua scuola all’Expo di Milano, alla presenza delle più alte cariche dello stato. Insomma, siamo di fronte a un “cittadino modello” che ha intrecciato, negli anni in cui ha vissuto in Italia, molteplici relazioni sia professionali, con associazioni del terzo settore, università e istituzioni pubbliche locali, sia personali, aiutando persone in difficoltà”. Eppure, “per vedersi respinta la domanda di cittadinanza basta un semplice sospetto dell’intelligence, non è necessario aver commesso alcun reato. Basta essere stato citato in un report durante una manifestazione o fare parte di un movimento di contestazione, anche senza denunce o formali identificazioni. Informative non conoscibili dall’interessato”.
Infine, “nonostante il ricorso, poi, i suoi legali non hanno avuto alcun dettaglio sulle accuse mosse, dato che questo genere di atti è secretato". L'avvocato non può quindi ricevere altra indicazione utile per sapere le motivazioni del diniego e così difenderlo come la legge prevede. Non solo. La difesa dell’uomo, pur riconoscendo l’ampia discrezionalità del ministero dell’Interno in materia, ha evidenziato che la discrezionalità non può giustificare l’assenza di un minimo di contenuto motivazionale”.
5. I tagli agli aiuti alle persone rifugiate in Uganda provocheranno danni sociali a lungo termine
I rifugiati in Uganda ricorrono a metodi sempre più disperati per sostenere se stessi e le loro famiglie a seguito della drastica riduzione degli aiuti umanitari.
“I budget per gli aiuti sempre più limitati fanno sì che molti degli 1,5 milioni di rifugiati nel paese – una delle nazioni che ospitano più rifugiati al mondo – ricevano ora meno del 40% delle loro razioni di sopravvivenza di base, mentre altri ricevono meno o niente”, scrivono i/le ricercatori, ricercatrici e docenti universitari Maja Simonsen Nilsen, Emanuele Viga, Eria Serwajja, Hilde Refstie sul New Humanitarian. “Le riduzioni delle razioni alimentari in Uganda sono state introdotte dal Programma alimentare mondiale, le cui cupe prospettive di finanziamento lo hanno costretto a fare tagli altrettanto profondi alle persone affamate in tutto il mondo. I tagli sono stati attuati attraverso un rigoroso esercizio di definizione delle priorità. Questo approccio basato sui bisogni prevede l’inserimento dei rifugiati in diversi gruppi di vulnerabilità che danno loro diritto a diversi importi di aiuti”.
La situazione rischia di peggiorare nei mesi e negli anni a venire. Con la riduzione degli aiuti, molte persone rifugiate saranno costrette a dipendere maggiormente dalle loro reti sociali. Ciò può includere gruppi di parentela e diaspora, vicini di casa, amici e reti religiose.
6. Guerra in Sudan: dopo essere fuggiti dalla guerra in patria, i rifugiati affrontano fame e malattie
La guerra in Sudan, che dura ormai da ben 11 mesi, continua a costringere migliaia di uomini, donne e bambini ad abbandonare le loro case. Nel campo di Metche, nel Ciad orientale, sopravvivono oltre 40.000 persone.
“CRS (Catholic Relief Services), Caritas Mongo, ci hanno dato tutto quello che avevano e ci sostengono. Che Dio li benedica. Questa è la seconda volta che ci portano del cibo”, racconta Saïd, un rifugiato. In Ciad, il numero dei rifugiati è al livello più alto da 20 anni. Il Sudan colpito dal conflitto potrebbe diventare la peggiore crisi alimentare del mondo, ha avvertito l’Onu”, si legge su Africanews. E ancora: “Oltre ai pericoli della fame e della disidratazione, la diffusione di malattie si è rivelata mortale [...]. L’Ong Medici Senza Frontiere ha affermato di aver registrato quasi 1.000 casi di epatite E nei campi del Ciad orientale, che hanno causato la morte di diverse donne incinte”.
Il team di Open Migration
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