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Salvare vite in mare non è reato

Foto via Twitter/Sea Watch

Provvedimento storico della Procura di Trapani sul caso della Ong Iuventa per cui è stato chiesto il non luogo a procedere. Dopo otto anni di criminalizzazione dei soccorsi, sequestro dell'imbarcazione e gravi accuse di collusione con i trafficanti, quanto accaduto dimostra che salvare vite in mare non costituisce reato.

1. Caso Iuventa: non sussistono le motivazioni per procedere

Decisione storica per il caso della Ong Iuventa, la procura di Trapani ha chiesto al gup il non luogo a procedere in quanto salvare vite in mare non costituisce reato. Il processo Iuventa dura da otto anni, sequestrata nel 2017 con l’infamante accusa di trasportare le persone migranti in accordo con i trafficanti. 

“Sono stati spesi 3 milioni di euro di soldi pubblici per perseguire persone che salvano vite in mare”, riporta l’equipaggio della Ong.

“Il procedimento è stato aperto nel 2017, mentre il governo italiano, con Marco Minniti ministro dell’Interno, cercava di introdurre un codice di condotta alle ong attive nel soccorso in mare, che le organizzazioni si erano rifiutate di firmare perché costituiva una minaccia al loro operato”, riporta Domani. E ancora: “La Iuventa non avrebbe mai dovuto essere confiscata - ha affermato Sascha Girke, ex membro dell’equipaggio, tra gli imputati di Iuventa, - e le persone non sarebbero dovute essere lasciate a morire. Ora il tribunale di Trapani ha l’opportunità di fermare il tossico effetto di questa criminalizzazione della solidarietà, una situazione che non avrebbe mai dovuto essere permessa. Rivolgiamo un appello al tribunale affinché lo faccia”.
“Siamo contenti che la procura abbia cambiato idea dopo 7 anni. Tuttavia, non è così che funziona uno stato di diritto. Le accuse dovrebbero essere formulate solo dopo un'indagine approfondita e la raccolta di tutte le prove disponibili. Iniziare un processo senza le dovute basi è ingiusto e comporta un onere indebito per gli imputati", afferma l’avvocata Francesca Cancellaro su Repubblica.

2. Dopo Cutro, l’accoglienza è stata smantellata

A un anno dalla strage di Cutro in cui hanno perso la vita oltre 90 persone, la risposta del Governo è stata solamente maggior repressione e smantellamento del sistema di accoglienza.

“Manuelita Scigliano, presidente dell’associazione Sabir di Crotone e coordinatrice della Rete 26 febbraio è categorica: “il governo non ha mantenuto le promesse che aveva fatto ai familiari”, riporta la giornalista Annalisa Camilli su Internazionale. E ancora: “Scigliano, che è ancora in contatto con una cinquantina di familiari delle vittime, sostiene che quella sui canali umanitari sia la richiesta più frequente che le fanno, insieme a quella per un permesso di soggiorno per i sopravvissuti: “si sentono presi in giro, molti non hanno ancora ottenuto la protezione internazionale, alcuni hanno solo quella speciale, che dura un anno e non può essere convertita in permesso di lavoro”. Le salme invece sono state quasi tutte rimpatriate o portate in altri paesi europei in cui vivono i familiari”.

“Solo nove sopravvissuti del naufragio sono rimasti a Crotone o nelle città vicine. Sono tutti uomini di origine pachistana e un iraniano, al momento ospiti dei centri d’accoglienza Sai (ex Sprar, il sistema ordinario) della provincia. “Queste persone non sono state aiutate nel loro percorso, come ci si aspettava. Hanno fatto richiesta d’asilo e hanno dovuto affrontare una lunga trafila. Solo uno ha ottenuto la protezione internazionale. Gli altri hanno la protezione speciale, che dura solo un anno”, spiega Fabio Riganello della cooperativa Agorà Kroton”.


3. Dalla Colombia agli Stati Uniti. Nuove rotte per le persone migranti di paesi africani

L’ondata di persone migranti africane nell’aeroporto di Bogotà, iniziata lo scorso anno, è un vivido esempio dell’impatto di uno dei più grandi movimenti globali di persone degli ultimi decenni e di come sta cambiando i modelli migratori, secondo quanto scritto nel nuovo reportage di Annie Correal e Federico Rios sul  New York Times.

Le persone migranti a Bogotà “provengono principalmente da paesi dell’Africa occidentale come Guinea, Mauritania, Senegal e Sierra Leone, anche se alcuni provengono dall’estremo oriente fino alla Somalia”, scrivono Correal e Rios. “Sono diretti in Nicaragua, l’unico paese dell’America Centrale dove i cittadini di molte nazioni africane – e di Haiti, Cuba e Venezuela – possono entrare senza visto. Gli esperti dicono che il presidente del paese, Daniel Ortega, negli ultimi anni ha allentato i requisiti per i visti per costringere gli Stati Uniti a revocare le sanzioni contro il suo governo autoritario. Per raggiungere il Nicaragua, i migranti intraprendono un viaggio con diverse fermate, volando verso hub come Istanbul, poi verso la Colombia, dove molti volano verso El Salvador e poi in Nicaragua. (Non ci sono voli diretti tra la Colombia e il Nicaragua). Una volta lì, si dirigono nuovamente verso nord, via terra, verso il Messico e il confine con gli Stati Uniti”. 

Diverse persone rimangono bloccate per giorni all’aeroporto di Bogotà: “una donna incinta della Guinea sedeva al cancello un pomeriggio di gennaio. Alla domanda sul motivo per cui se n'era andata, ha prodotto una foto che mostrava il suo volto, duramente picchiato: “Sono qui per salvare la mia vita, la mia vita e quella del mio bambino. Mi sto nascondendo da mio marito".


4. Nuovi respingimenti e violenze in Bulgaria

Mentre almeno 500 agenti Frontex verranno inviati a sorvegliare la frontiera esterna dell'Ue in Bulgaria, sulla stessa è uscito un nuovo report giornalistico del Balkan Investigative Reporting Network (Birn) che denuncia le gravi violazioni alle frontiere ai danni delle persone migranti. 

“Decine di documenti interni di Frontex e della Commissione europea, forniti a Bien in base alle norme dell'Ue sulla libertà d'informazione, evidenziano una grave negligenza da parte non solo delle autorità bulgare ma anche dei funzionari dell'Ue quando si tratta di prendere atto delle prove di gravi e persistenti violazioni dei diritti umani sui confini della Bulgaria, prova che sembra essere stata nascosta sotto il tappeto nel processo di inserimento del paese nella zona Schengen”, riporta Balkans Insight.  E ancora: “nonostante sia già coinvolta nei respingimenti in Grecia, l'indagine di Birn pone nuovi interrogativi sulla capacità di Frontex di garantire i diritti umani nelle operazioni di cui fa parte, anche dopo che il nuovo direttore esecutivo, Hans Leijtens, avrebbe promesso di "ripristinare la fiducia" nell'agenzia quando è stata annunciata la sua nomina nel gennaio 2023”.

Infine, il Birn ha affermato di aver visto un rapporto del 2022 di un “ufficiale di Frontex senza nome” che era stato inviato nella zona, in cui si sosteneva che i migranti erano stati spogliati, derubati e persino “costretti a tornare a nuoto in Turchia” dagli agenti di frontiera bulgari.


5. Nuovi naufragi dal Canale della Manica al largo del Senegal

Una bambina di sette anni è annegata quando una piccola imbarcazione che trasportava 16 persone migranti dirette dal nord della Francia alla Gran Bretagna si è capovolta attraversando la Manica, riporta l’Ansa. “L'imbarcazione "non era di dimensioni adeguate per trasportare così tante persone" - afferma in un comunicato l'autorità - e si è capovolta subito dopo che alcune persone si erano imbarcate, a pochi chilometri dalla costa. Si aggiunge che i genitori della ragazza, che viaggiavano con altri tre figli, sono stati portati in un ospedale di Dunkerque”.

Anche al largo del Senegal hanno perso la vita oltre 20 persone migranti. “Dal 28 febbraio sono stati recuperati 24 corpi dopo l’affondamento della barca su cui viaggiavano”, si legge su Internazionale. “L’imbarcazione si è trovata in difficoltà a poche centinaia di metri dalla riva in una zona fangosa. La costa può essere particolarmente pericolosa a causa delle correnti e della natura dei fondali[...]. Mamady Dianfo, originaria della Casamance, ha detto che c’erano circa trecento persone, quando la barca ha lasciato le coste senegalesi una settimana fa. Un altro sopravvissuto, Alpha Baldé, ha parlato di più di duecento passeggeri”.


6. I nostri nuovi articoli su Open Migration

Pato, per tutti, era fuggito dal Camerun e nel cercare di raggiungere l'Europa ha incontrato quella che sarebbe diventata sua moglie. Dal loro amore era nata una bambina. Ma nonostante i tanti tentativi l'Europa è rimasta un miraggio e i respingimenti l'unica realtà. Compreso l'ultimo, quando tutti e erano stati portati e abbandonati nel deserto dalle autorità tunisine. Qui sua moglie e sua figlia sono morte, abbracciate. Pato ha raccontato la sua storia a Papa Francesco, mostrandogli la foto un po' sbiadita di Fati e Marie. Ce ne parla Lidia Ginestra Giuffrida.
 

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