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Aiutiamoci a casa nostra
 
Comunità Oromo di Milano dona generi di prima necessità alla Croce Rossa Italiana (Foto via Croce Rossa Italiana - Comitato di Milano)
 
Mentre si fa sempre più serio - ovunque nel mondo - il rischio di contagio per i tanti migranti nei centri d’accoglienza come nei campi profughi ( e purtroppo nei centri di detenzione) e si susseguono gli appelli affinché venga garantita anche la loro salute, monta una nuova polemica sulle ong: dove sono ora che avremmo bisogno del loro aiuto? La risposta è tanto forte quanto scontata: sono proprio lì dove sono sempre state in prima fila nell'aiutare dove c'è più bisogno.

1. Da nord a Sud ecco dove sono le Ong
“Dove sono le Ong, ora che la catastrofe non è su un barcone o in un deserto arabo ma ce l’abbiamo in casa?” Domande del genere rimbalzano sui social e vengono rilanciate anche da nomi di primo piano del giornalismo italiano.

Per chi se lo stesse chiedendo, sono esattamente nel posto dove stanno di solito: sulla linea più avanzata dell’emergenza.

“Sono in prima linea, come sempre, ad aiutare chi soffre mettendo in campo tutti i mezzi possibili per alleviare le sofferenze, per curare chi sta male. Ci aiutano “a casa nostra”- scrive Fabio Salamida su Tpi - ecco dove:

Medici Senza Frontiere da una settimana sta offrendo supporto all’ospedale di Codogno, dove è stato effettuato il primo tampone positivo di un caso di Covid-19 in Italia e dove la metà dei 100 posti letto è ancora occupata da pazienti colpiti dal coronavirus.

Actionaid ha schierato decine di attivisti su tutto il territorio nazionale impegnati sulla piattaforma comunitaria di civic hacking “Covid19Italia Help” in cui vengono condivise informazioni verificate sull’epidemia e si organizzano raccolte fondi.

Emergency  ha messo a disposizione delle autorità sanitarie le competenze di gestione dei malati in caso di epidemie maturate in Sierra Leone nel 2014 e 2015 durante l’epidemia di Ebola.

Il volontario di Mediterranea Fabrizio Gatti, invece, è in prima linea nella sua città Brescia - dove guida l’ambulanza. E a Fabio Tonacci che l’intervista dice: "Intervenire in terra o in mare per noi non cambia, si tratta di aiutare le persone".

2. La solidarietà ripaga 
"La Croce Rossa ci ha salvato dal mare e noi adesso vogliamo fare qualcosa per la Croce Rossa e per Milano, la città che ha accolto noi e i nostri figli, e che sentiamo nostra".

Con queste parole Husen Abdussalam, presidente dell'Associazione Oromo di Milano, ha avvisato gli operatori della CRI Milano della volontà della comunità etiope di attivarsi per una donazione: “olio, biscotti, pasta, cibo in scatola, ma anche prodotti per l'infanzia e per l'igiene personale - racconta Zita Dazi su Repubblica - che la Croce Rossa di Milano destinerà alle famiglie in difficoltà coinvolte nel progetto Filiera della solidarietà”.


3. ..Il sovranismo no
Nelle stesse ore, invece, le mascherine e il materiale sanitario che la Cina aveva invitato all’Italia era stato sequestrato in Repubblica Ceca. Proprio verso la Repubblica Ceca (e ai paesi dell’area di Visegrad) si guardava ancora lo scorso anno quando si cercavano in Europa alleati nelle politiche “anti migranti” in Italia.


4. Cpr, Cas, Hotspot. Quali tutele per i migranti?
Garantiamo la salute dei migranti, garantiamo la nostra salute. Su Change.org è partita la raccolta firme che chiede di “consentire temporaneamente un rientro dei titolari di permesso umanitario e dei richiedenti asilo politico nel circuito della seconda accoglienza, al fine di ridurre la pressione demografica e garantire maggiormente il diritto alla salute dei cittadini presenti sul territorio, come da dettato costituzionale”.

Questo non è il solo appello a garantire la salute dei migranti comparso in questi giorni. Un centinaio di associazioni hanno stilato un documento cui cui si chiedono al Governo misure sanitarie immediate per le persone che vivono in situazioni di promiscuità e prossimità forzata nei centri di accoglienza, negli hotspot, nei siti informali

Chiudere i grandi centri e optare per accoglienza diffusa, ma non solo: Eleonora Camilli su Redattore Sociale ci spiega nel dettaglio le richieste.

Intanto MeltingPot racconta la situazione nel Cpr di Ponte Galeria a Roma:  “Chiusi in stanze da otto persone. A nessuno è stata data una mascherina o i guanti protettivi. Impossibile anche solo pensare di mantenere la distanza”.

5. Una sanatoria per i migranti (e per salvare l’economia)
Per l’emergenza coronavirus manca manodopera straniera per l’agricoltura. Il rischio, lanciato da Coldiretti è stato ripreso da Piero Sansonetti su Il Riformista: bisogna “prendere atto del fatto che gli immigrati non sono per noi quel peso atroce che ci hanno raccontato in tutti questi anni. Sono una risorsa, un aiuto, una forza fondamentale per la crescita dell'Italia”

Di fronte al rischio  che nelle prossime settimane venga compromessa la fornitura di generi alimentari a negozi e supermercati, replica le rete “Ero Straniero”, la nostra richiesta al governo è quella di regolarizzare e far lavorare chi è già in Italia.

6. Lo sfruttamento invece non conosce emergenza
“I migranti e i richiedenti asilo fuoriusciti dalla chiusa dei Centri di Accoglienza Straordinaria (Cas) a seguito dell’applicazione del Decreto Sicurezza di Salvini continuano a lavorare sfruttati nei campi come se non ci fosse il Covid-19. Le loro sorti non interessano né le aziende né le autorità. Eppure mai come ora, sono fondamentali per la quiete collettiva”. È quanto denuncia Jean-René Bilongo, Coordinatore dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil.

A Terracina - in quella pianura pontina di cui vi avevamo parlato qui - il commissariato di polizia ha bloccato tre furgoni che viaggiavano stipati di braccianti e sono stati denunciati, proprio per il mancato rispetto delle disposizioni volte a frenare i contagi, 25 braccianti di nazionalità bengalese e due italiani che erano con loro. La Polizia - racconta su Repubblica Clemente Pistilli - precisa che viaggiavano "incuranti di qualsivoglia divieto o misura di contenimento del virus".

7. Tra i migranti che fabbricano mascherine a Moria
Nel tristemente noto campo di Moria, sull'isola di Lesbo, circa 20.000 persone vivono in uno spazio progettato per poco meno di 3.000 persone. L'accesso all'acqua corrente è già limitato e i servizi igienici e le docce si bloccano regolarmente a causa di un uso eccessivo. Come se non bastasse, la settimana scorsa, una donna greca della città di Plomari è risultata positiva al Coronavirus. Così in assenza di sostegno da parte delle autorità greche, alcuni dei residenti del campo hanno creato una fabbrica di mascherine

Un primo passo ma sempre poco perché, come scrive Anna Spena su Vita - se l’epidemia arrivasse nei campi profughi sarebbe un “genocidio”.

8. Tornano le bufale sui migranti
Anche in tempi di emergenza sanitaria - o forse proprio giocando sulle paure dettate dal momento - quello dello “straniero untore” resta un mito ricorrente, così sono molte le bufale a circolare in questi giorni e che hanno per protagonisti i migranti.

Tra i tanti post sui social che affrontano la questione del contagio da coronavirus c’è anche chi parla di un virus che attaccherebbe solo gli italiani. Eleonora Camilli fa luce sulla bufala che parte da un presupposto semplicissimo: nelle tabelle rese note giornalmente dalla Protezione Civile, che riportano il numero dei contagi, dei decessi e dei guariti, non vengono indicate le nazionalità dei pazienti


Secondo un’altra bufala - attribuita ad un sedicente medico -sarebbe invece il governo ad impedire i controlli sui migranti. Su Open David Puente spiega come è nata la fake news e tutti i passaggi non veritieri.

Tra l’altro come spiega il ricercatore Ispi Matteo Villa:  “la Libia è uno dei luoghi meglio isolati al mondo, da molto tempo. Pochissimi aerei e navi che vanno e vengono. Migrazioni in ingresso pressoché interrotte. Immaginare che il virus sarebbe arrivato da lì dice molto di noi”.


9. Le torture in Libia continuano nonostante l’epidemia
La settimana scorsa il presidente del Consiglio presidenziale libico, Fayez al-Sarrraj, ha dichiarato lo stato di emergenza in Libia e ha annunciato la chiusura dei porti e degli aeroporti del Paese.

Scrive Roberto Saviano che per i profughi rinchiusi nei centri di detenzione libici questo - dove soprusi ed estorsioni continuano nonostante tutto - equivale a vedere le loro torture prolungarsi all’infinito.

Alla situazione già disperata, si aggiunge la paura di rimanere senza cibo o aiuto ora che molte Ong hanno sospeso le proprie attività a causa del Coronavirus. Ne parla approfonditamente Sally Hayden sul Guardian.

10. In Australia i migranti detenuti scrivono al primo ministro
"Siamo un bersaglio facile per l’epidemia Covid-19 ed estremamente esposti a diventare gravemente malati, se non a morire". Così scrivono i migranti trattenuti nei centri di detenzione australiani in una lettera al primo ministro Scott Morrison. Le loro richieste? Essere rilasciati per motivi di salute.


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