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Rinchiuse e respinte: l’esclusione sistematica delle persone rifugiate
 

       

Foto via Twitter/Melting Pot Europa


Mentre l’Italia firma un nuovo memorandum d’intesa con l’Albania per respingere richiedenti asilo, i rifugiati in Italia continuano a rimanere fuori dal sistema di accoglienza per via della scarsa programmazione. Nel frattempo, a Gaza le persone sfollate sopravvivono a stento.


1. L’Italia punta a costruire centri di detenzione in Albania

Il Governo Meloni ha stipulato un protocollo con il Governo Rama, in Albania, per contrastare i flussi migratori.

In particolare, “il memorandum d’intesa [...] prevede la realizzazione in Albania di due centri, che dovrebbero ospitare ogni mese fino a 3000 migranti irregolari. I migranti - ma solo quelli soccorsi da navi militari italiane - saranno sbarcati a Shengjin, ove si realizzerà un centro di prima accoglienza dove operare una prima attività di screening, mentre in un’altra area più interna si realizzerà una seconda struttura per le procedure successive. I centri saranno sotto la giurisdizione italiana, mentre l’Albania si occuperà di sicurezza e sorveglianza esterna delle strutture”, scrive la giurista Vitalba Azzollini su Domani. E sui costi: “stando al secondo allegato dell'accordo [...] Roma dovrà versare a Tirana 16,5 milioni di euro per il primo anno di attuazione del protocollo”, scrive la giornalista Federica Olivo su Huffpost Italia.

Tuttavia, l’accordo presenta già dei profili di illegittimità, tra cui il fatto che, come denuncia l’Ecre (Consiglio Europeo per i rifugiati): “non è consentita l’applicazione extraterritoriale del processo di screening e delle procedure di asilo e rimpatrio alle frontiere; il ricorso automatico alla detenzione; le condizioni all’interno [dei centri] potrebbero violare il diritto dell’Ue, sorgono questioni relative all’accesso ai diritti, compresi i diritti all’assistenza sanitaria, alla dignità, alla giustizia, a un processo equo”.

 
2. I rifugiati fuori dal sistema di accoglienza

Cresce il numero di posti vuoti nel sistema di accoglienza: più di 2mila letti vuoti nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai, ex Sprar) che crescono di mese in mese nonostante l’aumento degli arrivi.

“Nell’ultimo anno, mentre nelle città italiane decine di persone dormivano all’addiaccio, il secondo livello di accoglienza per i migranti rimaneva ampiamente sottoutilizzato. “È un dato che necessita di una chiave di interpretazione politica e non meramente tecnica - commenta Michele Rossi, direttore del Centro immigrazione asilo e cooperazione onlus (Ciac) di Parma-: dal 2018 a oggi il sistema invece di essere valorizzato e ampliato in linea con il bisogno reale, è sempre rimasto all’80% del suo potenziale”, riporta il giornalista Luca Rondi su Altreconomia.

E ancora: “per la prima volta il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al Viminale, ha inviato anche il numero delle richieste pervenute dai Centri di accoglienza straordinaria (Cas), il primo livello di accoglienza, proprio ai Sai. Il dato è sconcertante. Da gennaio a marzo 2023 le richieste totali sono state 11.218 mentre gli inserimenti 6.482, ovvero il 57% del totale. Mancanza di posti? No, perché i numeri dicono che gli inserimenti sarebbero potuti avvenire per tutti, con ancora 27 posti in disavanzo”.

3. A Gaza le persone rifugiate affrontano fame e malattie

Lavarsi nell’acqua di mare inquinata, dormire in tenda, mangiare quel poco di pane che riescono a trovare, o in alcuni giorni addirittura niente. Nel sud di Gaza, centinaia di migliaia di persone rifugiate si trovano nel mezzo di una crisi umanitaria che si aggrava di ora in ora.

“Decine di migliaia [di persone] si sono fermate a Deir al-Balah, una città centrale di Gaza. Gli edifici scolastici del luogo sono stati frettolosamente riconvertiti a rifugi delle Nazioni Unite. Ci sono fino a 70 persone in un’unica classe, circondate da rifiuti alimentari e da mosche”, riporta il giornalista Joel Gunter su Bbc. “[...] Dormiamo su un fianco perché non c'è abbastanza spazio nemmeno per sdraiarsi sulla schiena, ha detto Hassan Abu Rashed, un fabbro di 29 anni fuggito con la sua famiglia da Jabalia a Gaza City. "[...] Speriamo di trovare qualche fetta di pane al giorno da mangiare. [...]Il sistema fognario della scuola è rotto. [..]Siamo disperati”.

Si aggrava ulteriormente anche la condizione di neonati, rimasti senza incubatrici: “il portavoce del ministero della Sanità di Gaza ha affermato che le operazioni nel complesso ospedaliero di Al Shifa sono state sospese poiché era rimasto senza carburante. "[...] Un neonato sarebbe morto all'interno dell'incubatrice [...]", riporta Reuters.


4. Nonostante la violenza xenofoba, la Tunisia continua a essere meta di migrazioni

Nonostante la retorica xenofoba del governo tunisino (dall’incentivata violenza contro le persone migranti a deportazioni ed espulsioni), molti cittadini africani in fuga da conflitti e povertà vedono comunque la Tunisia come un’alternativa migliore alla vicina Libia, riporta la giornalista Alessandra Bajec sul New Humanitarian.

E ancora: “persone provenienti da Guinea, Costa d'Avorio, Tunisia ed Egitto costituiscono le principali nazionalità [che fuggono in Tunisia]. Ma secondo l'Unhcr, l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati,  la guerra civile in Sudan, iniziata ad aprile, sta influenzando anche la demografia. Da aprile più di 1,1 milioni di persone hanno lasciato il Sudan in cerca di sicurezza. La stragrande maggioranza si è trasferita nei paesi vicini, tra cui il Ciad e l’Egitto, che ospitano rispettivamente circa 440.000 e 330.000 persone”.

Alcuni sudanesi che entrano in Tunisia sono stati costretti a fuggire dai recenti combattimenti in Sudan, mentre altri hanno già trascorso anni alla ricerca di stabilità in diversi paesi dopo essere stati sfollati a causa di precedenti conflitti, in particolare nella regione occidentale del Sudan, il Darfur.


5. Politiche securitarie performative come distrazione di massa

Sul Guardian, lo scrittore Kenan Malik definisce “politiche performative” quel modus operandi securitario dei governi nei confronti delle persone migranti, su cui si scaglia il “pugno duro”. Allo stesso tempo, sottolinea Malik, lavoratori e lavoratrici migranti sono altamente richiesti per carenza di manodopera.

“L’ironia è che gli stessi paesi che vogliono essere visti come intransigenti sull’immigrazione stanno anche cercando disperatamente nuovi lavoratori dall’estero. Quando, all’inizio di quest’anno, il governo italiano ha aperto un sistema di richiesta online per i datori di lavoro per ottenere visti per lavoratori extracomunitari, l’intera quota è stata esaurita nel giro di un’ora. In risposta, l’Italia sta aprendo le porte a più lavoratori provenienti da paesi extra Ue, rilasciando fino a 425.000 permessi di lavoro nei prossimi due anni. Anche l’Ungheria, il cui primo ministro, Viktor Orbán, è tra i più accaniti oppositori europei dell’immigrazione, si sta silenziosamente rivolgendo ai paesi extra-UE per soddisfare le proprie esigenze di manodopera, con l’intenzione di accettare fino a 500.000 lavoratori [...] ”, scrive Malik.

Dalla Tunisia al Sud Africa, dal Kenya all’India, i politici continuano a fomentare l’ostilità xenofoba nei confronti delle persone migranti per distrarre dalle questioni interne. “Il Pakistan ha dichiarato che deporterà tutti i rifugiati afghani privi di documenti – fino a 1,7 milioni di persone – provocando potenzialmente una delle più grandi deportazioni forzate dagli anni ’50, anche se, all’ombra della guerra a Gaza, il mondo sembra a malapena averlo notato”, riporta Malik.


6. I nostri nuovi articoli su Open Migration

Marouane Fakhri era un ragazzo marocchino, tra le vittime della rappresaglia a freddo operata da alcuni reparti della polizia penitenziaria, dopo le proteste delle persone detenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nell'aprile del 2020, per la paura del contagio epidemico di Covid-19. Trasferito prima nel carcere di Ariano Irpino e poi in quello di Pescara. Qui si era riuscito a reintegrare, venendo selezionato per seguire un corso di formazione da operatore socio-sanitario e continuando gli studi per conseguire il diploma. Eppure, proprio in questo carcere, il ragazzo si è dato fuoco per poi morire due mesi dopo all'ospedale di Bari. Ce ne parla Luigi Romano.
 

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