PNRR e società partecipate: meno spese, non più partecipazioni statali
Il governo è in affanno su tempi e modalità di attuazione del PNRR. Sembra sempre più concreto il rischio di non riuscire a spendere tutti i soldi che abbiamo irresponsabilmente richiesto. Che fare, allora? Una ipotesi è quella di rivedere il Piano, cercando di esternalizzarne quanto più possibile alle società partecipate, di cui la settimana scorsa il Ministero dell'Economia ha comunicato i nomi prescelti per le posizioni apicali. Tale tendenza trova addirittura una sorta di ufficializzazione nella composizione della Cabina di regia a cui partecipano, oltre ai ministri, anche le società attive nel settore energetico (Eni, Enel, Snam e Terna) mentre sembra che Poste dovrà occuparsi di una parte dei programmi per la digitalizzazione della PA. La parte del PNRR relativa ai trasporti è già stata, nei fatti, subappaltata alle Ferrovie dello Stato.
Tale deriva è pericolosa e andrebbe fermata. Ed è tanto più pericolosa quanto più essa appare ragionevole, alla luce dei vincoli e delle tempistiche del PNRR. È pericolosa per le aziende, in primis: sebbene lo Stato detenga quote più o meno significative del loro capitale sociale, la maggior parte di queste imprese (tranne le Ferrovie) sono quotate in borsa e hanno azionisti privati. Il loro obiettivo, dunque, non dovrebbe essere quello di mettersi al servizio del paese, programmando investimenti che potenzialmente danno scarsa redditività e che comunque non avrebbero considerato altrimenti. Esse dovrebbero creare valore per i rispettivi azionisti, inclusi quelli privati. E se anche avere accesso alle segrete stanze in cui si scrive il PNRR può essere nel loro interesse di breve periodo, arriverà inevitabilmente il momento in cui la politica, che oggi apparentemente concede, chiederà qualcosa in cambio (per esempio di salvare un'azienda decotta). Ma la situazione è pericolosa anche per lo Stato: quanto più le partecipate si mettono al servizio sul tavolo del PNRR, tanto più matureranno la legittima aspettativa di essere ricompensate su altri tavoli. E tutto ciò è pericoloso anche per l'immagine del paese e per le tante società, italiane ed estere, che potrebbero aspirare a partecipare ai bandi del PNRR e che invece rischiano (o temono) di vederli disegnati su misure dei colossi di Stato. In altre parole, è pericoloso per tutti alimentare la percezione che le partecipate pubbliche sono una sorta di riedizione delle vecchie partecipazioni statali, e come tali costituiscono un'articolazione dello Stato stesso.
Ciò riflette forse un pregiudizio culturale assai diffuso nel nostro paese, che non solo non ha mai digerito le privatizzazioni, ma neppure la trasformazione degli enti pubblici in società di diritto privato, all'inizio degli anni Novanta. Tuttavia, c'è anche altro: troppa parte della nostra classe politica, forse anche per un malinteso orgoglio nazionale, vede come intangibile il PNRR, quanto meno nella sua dimensione, e si sbraccia per trovare il modo di non farsi sfuggire i denari europei. E quindi vede la l'aiuto delle partecipate come una possibile ciambella di salvataggio. Sono due tendenze che si rafforzano vicendevolmente ma, per il bene del paese, è importante resistere a entrambe.
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